Migranti: sono davvero una minaccia? La verità che la Destra non racconta
Una lunga analisi delle scellerate politiche migratorie tra fake news e pregiudizi. Ma anche soluzioni possibili.
Lo scorso anno il Mediterraneo centrale si è confermato la rotta migratoria più letale al mondo: un vero e proprio cimitero invisibile dove quasi 2.500 persone hanno perso la vita o sono scomparse nel tentativo di raggiungere l’Europa per trovare un futuro migliore. Come se non bastasse, un drammatico bilancio vede un aumento di circa 1.400 vittime rispetto al 2022.
Le principali partenze avvengono dalla Libia e dalla Tunisia, Paesi caratterizzati da instabilità politica e condizioni di vita precarie sia per le persone migranti che rifugiate. Chi vuole fuggire si affida a trafficanti senza scrupoli con imbarcazioni fatiscenti contro qualsiasi standard di sicurezza, ammassando corpi su corpi in degli spazi risicati.
Come ormai sappiamo bene, l’Italia è forse il principale punto di arrivo avendo accolto più di 157.600 persone via mare nel corso del 2023, tra le quali circa 17.300 minori non accompagnati (categoria particolarmente vulnerabile che spesso affronta gravi difficoltà durante e dopo il viaggio). Ma nonostante gli sforzi delle ONG per salvare vite umane, la gestione dei flussi migratori resta più che inadeguata a causa di politiche che mettono a rischio i diritti fondamentali di chi migra.
L’emergenza, dunque, non è soltanto umanitaria ma anche (o soprattutto) politica: abbiamo ormai imparato a vedere le azioni di salvataggio nel Mediterraneo come un campo di battaglia ideologico tra chi sostiene un approccio solidale e umano, direi legittimamente necessario, e chi promuove politiche di respingimento in nome di una presunta “difesa dei confini”. Nel frattempo il numero di vite spezzate continua a crescere, trasformando ogni viaggio della speranza in una scommessa mortale.
Le partenze
Quella del Mediterraneo centrale continua a confermarsi la rotta più utilizzata ma anche la più pericolosa: come già ricordato, le persone migranti partono principalmente dalla Libia e dalla Tunisia, dove spesso subiscono abusi, torture e detenzioni arbitrarie nei centri di raccolta. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) ha stimato che, sempre nel 2023, quasi 2.500 persone siano morte o scomparse proprio lungo questa tratta, e anche in questo troviamo un peggioramento rispetto al 2022, a causa appunto dei molti naufràgi delle imbarcazioni sovraccariche e fatiscenti utilizzate dai trafficanti.
Per quanto riguarda i Paesi di origine di chi fugge: la maggior parte di queste persone proviene da nazioni afflitte da conflitti, persecuzioni o crisi economiche (Siria, Sudan, Afghanistan, Eritrea e Somalia, per esempio). Inoltre la precarietà della situazione nei Paesi di transito (come la Libia) aggrava ulteriormente le condizioni di partenza.
Così il numero crescente di arrivi in Italia ha messo sotto pressione il sistema di accoglienza, con hotspot come quello di Lampedusa sovraffollati e privi delle risorse necessarie per garantire delle condizioni dignitose. Questa situazione ha contribuito ad alimentare il dibattito politico interno, spesso focalizzato più sulla gestione delle frontiere che sulla tutela dei diritti umani.
La mancanza di una risposta comune a livello europeo ha poi aggravato ulteriormente la crisi: i Paesi di primo approdo come Italia, Grecia e Malta si trovano spesso soli nell’affrontare i flussi migratori, mentre altri Stati membri dell’UE oppongono resistenza contro le politiche di redistribuzione solidale. Questo ha portato, tra le tante cose, alla stagnazione di proposte come il “Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo”.
Come si può vedere dal grafico, che evidenzia la pressione sulle coste italiane e la tragica realtà delle rotte migratorie:
L’Italia ha accolto il maggior numero di migranti (157.600), seguita da Grecia (30.000) e Spagna (28.700);
La rotta del Mediterraneo centrale è di gran lunga la più pericolosa, con 2.500 morti registrate contro le 850 del Mediterraneo orientale e le 450 del Mediterraneo occidentale.
Il lavoro delle ONG
Le organizzazioni non governative (ONG) giocano sempre un ruolo cruciale per tutelare chi migra, ma in particolare nel Mediterraneo centrale, rappresentando spesso l’unica speranza per le persone che rischiano la vita durante le loro traversate. Attraverso le operazioni di ricerca e salvataggio (SAR), queste organizzazioni hanno appunto salvato migliaia di persone “dal nostro mare”, dove i mezzi delle autorità statali non riescono (o forse non vogliono?) a garantire una presenza costante ed efficace.
Tuttavia il loro lavoro è spesso al centro di polemiche e ostacoli. In Italia, come sappiamo, il Governo ha introdotto normative più restrittive per le ONG, imponendo per esempio l’obbligo di dirigersi immediatamente verso un porto assegnato dopo ogni salvataggio: questo limita inevitabilmente la capacità delle navi di soccorrere ulteriori persone durante una stessa missione, riducendo la loro efficacia e, secondo molte organizzazioni umanitarie, mettendo ulteriormente a rischio le vite umane.
Alcuni politici e gruppi di opinione, putacaso di Destra, motivano la loro “reticenza” accusando le ONG di favorire indirettamente i trafficanti di esseri umani, sostenendo che la loro presenza incentivi le partenze verso l’Italia. In realtà numerose inchieste e studi hanno ormai ampiamente dimostrato che le partenze sono determinate principalmente da fattori strutturali nei Paesi d’origine e da crisi umanitarie nei Paesi di transito.
Ma le difficoltà e i contrasti non sono solo di tipo legislativo: le ONG affrontano anche problemi logistici e finanziari, dovendo spesso dipendere dalle donazioni per mantenere operative le loro flotte. Inoltre le navi sono talvolta trattenute nei porti per controlli tecnici, o le loro operazioni vengono impedite attraverso dei cavilli burocratici.
Le critiche, però, non hanno ancora fermato l’impegno di queste organizzazioni, che non smettono di sottolineare come il loro lavoro sia conforme al diritto internazionale, a prescindere dalle ripicche dell’attuale Governo italiano. La Convenzione SAR di Amburgo e il diritto marittimo, infatti, stabiliscono chiaramente che salvare vite umane in mare è un obbligo legale e morale. Eppure, nonostante questo, le ONG continuano a essere demonizzate in alcune narrazioni politiche, mentre i naufragi si susseguono, lasciando spazio a una domanda cruciale: cosa accadrebbe se certi soccorsi non ci fossero?
Una testimonianza dal mare
Un esempio emblematico è quello della nave “Geo Barents” di Medici Senza Frontiere, che nel novembre 2023 ha tratto in salvo oltre 800 persone in un solo intervento. Tra loro c’erano anche decine di bambine e bambini in condizioni critiche. La mancanza di un sistema di soccorso statale coordinato ha reso questo intervento di vitale importanza, ma l’obbligo di attraccare immediatamente al porto assegnato ha impedito ulteriori operazioni nella stessa zona, lasciando decine di imbarcazioni in difficoltà senza assistenza.
Insomma, le politiche migratorie italiane ed europee degli ultimi anni hanno avuto un impatto significativo sulle attività delle ONG. Il governo italiano, in particolare, ha adottato misure sempre più restrittive per regolamentare il loro operato. Vediamone meglio due nello specifico:
Decreto ONG:
Impone alle navi di soccorso di dirigersi immediatamente verso il porto assegnato dopo ciascun salvataggio;
Introduce obblighi burocratici come la registrazione preventiva delle operazioni di salvataggio e il rispetto di specifiche rotte marittime;
Prevede sanzioni economiche significative e il sequestro delle imbarcazioni in caso di presunte violazioni.
Assegnazione dei porti:
Le navi delle ONG sono spesso indirizzate verso porti distanti come quelli del nord Italia, costringendole a percorrere centinaia di chilometri e riducendo drasticamente il tempo disponibile per nuove missioni di salvataggio (oltre a peggiorare la situazione delle persone migranti, per le quali ogni ora in più può essere fatale se in gravi condizioni), aumentando inoltre i costi operativi, già difficili da sostenere.
Le posizioni politiche
Le restrizioni sono quindi sostenute dalle forze politiche di maggioranza che vedono nelle ONG un fattore che contribuisce all’aumento delle partenze. Secondo questa visione, la presenza delle navi di soccorso fungerebbe da “fattore di attrazione” (pull factor), incentivando le persone migranti a intraprendere la traversata. Esponenti di destra dell’attuale Governo hanno così più volte ribadito che le politiche restrittive ideate mirano al “controllo delle frontiere” per contrastare l’immigrazione irregolare (definita da loro come “invasione” anche se, di fatto, di invasione non si può di certo parlare, dati alla mano).
Dall’altro lato, le organizzazioni internazionali, così come le persone attiviste ed esperte sul tema, contestano decisamente questa narrazione fasulla. La maggior parte degli studi evidenzia che le partenze dipendono principalmente da condizioni nei Paesi d’origine e di transito come guerre, crisi economiche e persecuzioni. Inoltre gli ostacoli posti alle ONG non solo non hanno ridotto i flussi migratori ma hanno perfino aumentato il numero di morti in mare, perciò la loro funzione è del tutto controproducente.
Impatto delle politiche
Le restrizioni hanno avuto effetti devastanti, tra i quali:
Riduzione della capacità operativa: le navi ONG sono meno presenti nelle aree più pericolose del Mediterraneo, lasciando molti migranti senza soccorso;
Aumento dei costi: tra multe, sequestri e lunghi tragitti per raggiungere porti più lontani, molte organizzazioni hanno dovuto sospendere le attività o comunque ridimensionarle;
Conseguenze umanitarie: secondo l’OIM il tasso di mortalità nel Mediterraneo centrale è aumentato significativamente negli ultimi due anni, segno che la diminuzione delle operazioni di soccorso ha avuto un impatto diretto sulla vita dei migranti.
In conclusione, l’aumento delle vittime in mare evidenzia i limiti delle politiche al riguardo. Per questo una risposta più efficace richiederebbe un coordinamento europeo, con un sistema di ricerca e di salvataggio centralizzato e con maggiori risorse per i Paesi di primo approdo.
Nel ripensare le politiche attuali, ecco dunque alcune proposte che potrebbero migliorare la situazione, salvaguardando le vite umane e garantendo una gestione più equa delle operazioni:
Un sistema europeo di ricerca e salvataggio: attualmente il compito di salvare le vite in mare ricade principalmente sulle ONG e sui Paesi di primo approdo, quindi l’Unione Europea dovrebbe istituire un sistema centralizzato di ricerca e salvataggio dotato di risorse adeguate e coordinato a livello continentale.
Vantaggi: una gestione condivisa aumenterebbe l’efficacia delle operazioni, alleggerendo la pressione sui Paesi mediterranei.
Esempio concreto: l’operazione “Mare Nostrum” del 2013, pur essendo un’iniziativa italiana, dimostrò come un impegno statale diretto possa ridurre il numero di morti in mare.
Corridoi umanitari sicuri: creare vie legali per l’ingresso dei migranti (soprattutto riservate a categorie vulnerabili come richiedenti asilo, minori non accompagnati e vittime di persecuzione) potrebbe ridurre drasticamente le partenze irregolari.
Vantaggi: offrire alternative legali scoraggerebbe i trafficanti e garantirebbe un controllo più efficace dei flussi migratori.
Esempio concreto: i corridoi umanitari promossi in Italia da Associazioni come Sant’Egidio hanno già dimostrato di funzionare, integrando i migranti in modo sicuro e dignitoso.
Solidarietà tra Stati membri dell’UE: la riforma del sistema di Dublino, che obbliga le persone migranti a fare richiesta d’asilo nel primo Paese d’ingresso, è fondamentale, per questo occorre ricordare di redistribuire equamente i richiedenti asilo tra tutti i Paesi membri attraverso un sistema basato su quote o incentivi economici.
Vantaggi: una maggiore solidarietà ridurrebbe la pressione su Italia, Grecia e Malta, migliorando le condizioni generali di accoglienza e integrazione.
Sfide: alcuni Paesi dell’Est Europa opporrebbero probabilmente una certa resistenza, che però potrebbe essere superata attraverso dei meccanismi di penalità o alcuni incentivi finanziari.
Investimenti nei Paesi d’origine e di transito: affrontare le cause profonde della migrazione è essenziale, per questo l’UE dovrebbe aumentare gli investimenti in progetti di sviluppo nei Paesi di origine e rafforzare la cooperazione con i Paesi di transito in modo da garantire la sicurezza di chi migra.
Vantaggi: migliorare le condizioni di vita ridurrebbe le partenze e il numero di migranti costretti a rischiare la vita in mare (sì, lo so, suona molto come lo slogan populista “aiutiamoli a casa loro”, ma in questo caso pronunciato in modo effettivo e non giusto per attaccare l’accoglienza che, ribadiamo, dev’essere comunque un dovere morale e umano).
Criticità: le collaborazioni con Governi instabili o autoritari dovrebbero essere trasparenti e monitorate per evitare abusi dei fondi e delle violazioni dei diritti umani.
Maggiore trasparenza e dialogo: serve migliorare anche la comunicazione con il pubblico per contrastare la disinformazione, dato che spesso i migranti vengono dipinti come un problema per la sicurezza o un peso economico, alimentando di conseguenza i sentimenti razzisti e xenofobi di un preciso elettorato.
Proposta pratica: campagne di sensibilizzazione che raccontino storie personali dei migranti, evidenziando il loro contributo alle comunità ospitanti.
Per concludere, la crisi migratoria richiede un approccio multidimensionale che unisca solidarietà, pragmatismo e rispetto dei diritti umani. Solo attraverso la cooperazione internazionale, l’investimento nelle cause profonde e un sistema di accoglienza più equo sarà possibile ridurre il numero di tragedie nel Mediterraneo, dimostrando che l’Europa può rimanere fedele ai suoi valori umanitari.
Le narrazioni giuste
Abbiamo parlato molto di numeri e statistiche, perché d’altra parte sono necessari per smontare fake news e strumentalizzazioni becere, ma non dimentichiamo che dietro a un grafico si celano volti, nomi e storie: ogni viaggio attraverso il Mediterraneo racconta un intreccio di sogni, di paure e di resilienza che dobbiamo tutelare in ogni modo possibile. Molte persone migranti intraprendono la traversata spinte dalla speranza di una vita migliore, lasciandosi alle spalle guerre, persecuzioni o povertà estrema, tuttavia sono poche quelle che riescono ad arrivare indenne, fisicamente e psicologicamente, alle coste europee. Rimettiamo dunque i puntini al punto giusto per restituire un po’ di dignità a chi cerca soltanto un futuro migliore:
1) Perché fuggono?
I migranti che percorrono la rotta del Mediterraneo centrale provengono principalmente da Paesi in cui sopravvivere è una sfida quotidiana, tra conflitti armati (in Siria, Sudan e Somalia, la guerra costringe milioni di persone a lasciare le proprie case, spesso in condizioni disperate), crisi economiche e climatiche (la siccità e l’insicurezza alimentare colpiscono duramente nazioni come il Sahel e il Corno d’Africa, rendendo impossibile coltivare o trovare lavoro), e infine le persecuzioeni e la negazione dei diritti (Eritrea e Afghanistan sono esempi emblematici di regimi repressivi che non lasciano altra scelta se non la fuga, e a tal proposito vi linko un mio articolo al riguardo). Come se non bastasse il pericoloso viaggio in mare, molte persone migranti prima di raggiungere le coste nordafricane devono affrontare viaggi lunghi e pericolosi attraverso deserti e territori ostili (sulla rotta libica, per esempio, le persone si trovano spesso vittime di torture, abusi sessuali e detenzioni arbitrarie in veri e propri lager gestiti dai trafficanti o da milizie locali).
2) I rischi del viaggio
La traversata del Mediterraneo centrale è una scommessa crudele: le barche utilizzate dai trafficanti sono sovraffollate e fatiscenti (spesso si tratta di gommoni precari inadatti a resistere alle tempeste o ai lunghi tragitti), progettate per massimizzare il guadagno e non certo per garantire sicurezza. Molte testimonianze raccontano poi di capitani improvvisati che abbandonano l’imbarcazione in mare aperto, lasciando “i passeggeri” senza guida e senza soccorsi immediati, praticamente con una condanna a morte sulla loro testa: chi sopravvive racconta spesso di aver visto amici e familiari scomparire tra le onde davanti ai loro occhi.
3) Voci dal mare
A tal proposito, dato che dietro ogni salvataggio c’è una storia da raccontare che, purtroppo, non rappresenta un’eccezione bensì la quotidianità per chi tenta la traversata, ritengo sia necessario anche non smettere di condividere le loro voci, come quelle di:
Fatima, 28 anni, Somalia: “Non avevo scelta, ho attraversato il deserto e poi mi hanno venduta a dei trafficanti. Mi picchiavano se non pagavo. Quando sono salita sulla barca, non pensavo che sarei sopravvissuta, ma preferivo morire in mare che tornare indietro.”
Ahmed, 17 anni, Sudan: “Non ho più famiglia. Il viaggio è stato un incubo, ma adesso sogno di studiare e diventare ingegnere. Voglio dare un futuro diverso ai miei fratelli.”
Sofia, 35 anni, Eritrea: “Sono partita con i miei figli. La barca si è capovolta. Li ho visti scivolare nell’acqua e non ho potuto fare nulla. Ora vivo, ma ho perso tutto.”
Le politiche migratorie devono quindi partire dalla consapevolezza che ogni persona ha il diritto di cercare rifugio e che la dignità umana non può essere messa in discussione. Le testimonianze di chi sopravvive al viaggio e di chi, purtroppo, non ce la fa, devono quindi spingere le istituzioni a prendere decisioni politiche che privilegino la vita e i diritti fondamentali.
Condividere voci, appunto, rimette al centro le esperienze uniche, segnate tutte da sofferenza, coraggio, ma anche speranza. Perché i numeri, tanto preziosi, non bastano, o comunque non possono esaurire la complessità della migrazione, eppure è essenziale riconoscere l’urgenza di rispondere a questa crisi con un approccio che vada oltre la mera gestione delle frontiere, anche perché i problemi, come vedremo, sono anche “oltre” l’arrivo.
4) La nuova sfida in Europa
Per coloro che sopravvivono al viaggio, l’arrivo in Europa è soltanto l’inizio di un’altra lotta, tra sovraffollamento nei centri di accoglienza (già detto quanto i luoghi come quelli a Lampedusa e Pozzallo siano costantemente al limite della capacità, spesso incapaci di offrire condizioni dignitose per mancanza di risorse), iter burocratici lunghi e complessi (la richiesta di asilo può richiedere mesi o addirittura anni, durante i quali le persone immigrate rimangono in una condizione di incertezza totale) e inoltre discriminazione (integrarsi trovando lavoro e costruirsi una vita è spesso reso difficile da barriere culturali, pregiudizi e mancanza di politiche di inclusione).
Spero che adesso sia un po’ più chiaro, se già non lo fosse stato, come le storie dei migranti ci ricordino che dietro ogni statistica c’è una realtà umana complessa, per questo ascoltare le loro voci non è solo un dovere morale ma un passo fondamentale per comprendere le cause e le conseguenze della migrazione, superando paure e pregiudizi.
E quindi l’Europa?
Le storie di chi migra sono quelle di chi ha visto distruggersi la propria vita e ha intrapreso un viaggio per ricostruirla, in un contesto che è comunque di disuguaglianza e di grande sofferenza. Se l’Europa vuole davvero essere una terra di speranza, deve impegnarsi a rispondere con azioni concrete e politiche rispettose della dignità umana: soltanto così potremo sperare di vivere in una società che non dimentichi mai il valore dell’umanità, tanto bella in quanto complessa e variegata.
1) Un sistema di ricerca e salvataggio efficiente, il rafforzamento dei corridoi umanitari e un’accoglienza dignitosa sono solo alcune delle azioni che devono essere intraprese a livello europeo per affrontare la crisi migratoria in modo umano ed efficace;
2) Accogliere significa anche integrare, per questo serve che i migranti non siano visti come un peso ma come una risorsa (la creazione di opportunità di lavoro, l’accesso all’istruzione e la promozione della solidarietà sociale sono fondamentali per costruire una società inclusiva). Investire in tal senso, come dimostrato in vari esempi di successo in Paesi europei, non solo aiuta i migranti ma anche le comunità locali, che possono così beneficiare della diversità e delle competenze che i nuovi arrivati portano con sé;
3) L’Europa deve tornare a essere una comunità di valori dove la solidarietà tra Stati membri rappresenta un principio cardine: l’attuale frammentazione delle politiche migratorie tra i vari Paesi membri, spesso guidati da egoismi nazionali, rende la gestione della crisi inefficace e cruenta, per questo l’istituzione di un sistema europeo di distribuzione dei migranti, basato su principi di equità e giustizia, è indispensabile;
4) Necessario è anche un un cambio di paradigma che porti a una gestione della migrazione integrata in una visione globale che affronti le cause profonde delle migrazioni attraverso la cooperazione internazionale, gli investimenti nelle regioni di origine e la promozione della pace e dello sviluppo che devono restare al centro.
Ricapitolando, solo con un approccio in grado di unire l’accoglienza umanitaria, l’integrazione sociale e la cooperazione internazionale sarà possibile ridurre la sofferenza di milioni di persone e dare loro una vita più dignitosa.
Le risposte internazionali
Sia chiaro, in tutto questo la gestione della crisi migratoria non può comunque essere demandata ai singoli Stati o all’Unione Europea, ma è necessario un approccio globale che coinvolga anche i Paesi di origine, quelli di transito e infine quelli di destinazione, nonché le Organizzazioni internazionali. Eppure, sebbene esistano diverse iniziative di cooperazione internazionale, l’approccio attuale continua a essere frammentato, spesso segnato da conflitti politici e visioni differenti (contrastanti) riguardo la gestione dei flussi.
Le politiche internazionali in materia di migrazione continuano a essere influenzate da fattori economici, geopolitici e sociali che differiscono notevolmente tra le diverse aree del mondo. Ma entriamo nello specifico…
Attraverso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) le Nazioni Unite cercano di promuovere la protezione delle persone rifugiate e la gestione umanitaria della migrazione, ma il loro impatto resta limitato da ritardi burocratici, risorse insufficienti e ostilità di alcuni Stati membri (anche l’attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, che include l’impegno per la gestione dei flussi migratori in quanto ulteriore strumento per integrare migrazione e sviluppo, continua a risultare parzialmente realizzata).
In tutto questo le politiche dell’UE per affrontare l’immigrazione sono state soggette a critiche, che si è tentato di arginare anche tramite accordi bilaterali con Paesi di transito come la Libia, ma questi sono stati spesso accompagnati da gravi violazioni dei diritti umani e mancanza di protezione di chi migra (la cooperazione con i Paesi africani, sebbene volta a ridurre il flusso migratorio, spesso ignora le cause profonde come la povertà, la disuguaglianza e i conflitti): per questo la gestione del fenomeno migratorio è ormai un tema divisivo, soprattutto per Paesi come Italia, Grecia e Spagna che si trovano a fronteggiare un’onere sproporzionato rispetto a Paesi più a nord, i quali continuano a rifiutarsi di accogliere un numero equo di persone rifugiate.
Con uno sguardo più ampio, per riassumere un po’, possiamo certamente affermare che tutto il panorama della cooperazione internazionale appare segnato da divergenze politiche e interessi contrastanti. Tra i principali ostacoli troviamo le differenze politiche tra Stati membri (con approcci molto diversi nella gestione di chi migra, tra chi è favorevole a una politica di accoglienza e chi teme che l’immigrazione possa minacciare la propria identità culturale e la sicurezza interna), l’ascesa dei movimenti sovranisti e di destra (alimentando in molti Paesi europei un clima di ostilità promuovendo “blocchi” dei flussi attraverso misure restrittive e di controllo), e infine violazioni dei diritti umani (compreso torture, abusi sessuali e trattamenti disumani di altro tipo da parte dei regimi autoritari dei Paesi di transito, sui quali difficilmente si può intervenire esternamente).
Buone pratiche e modelli positivi
Siccome c’è bisogno di speranza, ricordandoci che c’è sempre un modo per rimboccarsi le maniche e provare a “ribaltare” il buio più scuro, a tutto quanto detto voglio contrapporre esempi positivi ed efficaci di cooperazione internazionale che dimostrano come sia possibile affrontare la migrazione in modo umano e sostenibile:
I corridoi umanitari: in Italia iniziative come quella della Comunità di Sant’Egidio hanno permesso a migliaia di persone di arrivare legalmente in Europa, evitando i pericoli del viaggio in mare, per questo tale modello potrebbe essere ampliato a livello europeo con la creazione di corridoi gestiti dall’UE;
Il modello del “Global Compact for Migration”: dal 2018 tale accordo non vincolante promuove una gestione della migrazione più sicura e rispettosa dei diritti umani, tentando di coordinare gli sforzi globali in modo cooperativo;
Progetti di sviluppo e prevenzione: alcuni Paesi europei, insieme alle ONG, hanno investito in progetti di sviluppo nei Paesi di origine con l’obiettivo di ridurre le cause economiche, politiche e ambientali che spingono alla migrazione (per esempio, in alcuni Paesi africani, sono stati attuati progetti per migliorare l’agricoltura, la sanità e l’educazione, contribuendo a combattere la povertà delle comunità locali).
Ciò dimostra che è solo attraverso la cooperazione per un impegno serio e condiviso da parte di tutti gli attori internazionali, comprendente la protezione dei diritti umani, l’integrazione di chi migra e lo sviluppo sostenibile nei Paesi di origine, sarà possibile affrontare certe sfide in modo efficace e stabile.
Il ruolo della società civile
Un ruolo cruciale nell’affrontare la crisi migratoria, non solo attraverso il supporto diretto alle persone migranti ma anche promuovendo un cambiamento culturale e politico che rispetti i diritti umani e favorisca l’integrazione, è quello della società civile: oltre che sulle ONG è possibile, per fortuna, contare anche su una rete di gruppi di volontariato, movimenti sociali e cittadine e cittadini che singolarmente sono in prima linea nell’offrire aiuto e nel sensibilizzare l’opinione pubblica, nonché nel portare avanti battaglie legali per la difesa dei diritti delle persone migranti.
Le ONG sono spesso l’unica rete di protezione per chi migra sia durante che dopo il viaggio, offrendo per esempio assistenza sanitaria, supporto psicologico, rifugi temporanei e come già detto aiuti legali, oltre a molto altro: organizzazioni come “Mediterranea Saving Humans” e “Sea-Watch” hanno effettuato operazioni di soccorso in mare per salvare vite umane da barche sovraffollate e da naufragi, sfidando le politiche di blocco delle rotte marittime e i rischi legali dovuti alle operazioni in acque internazionali; parallelamente troviamo “Save the Children, “Caritas” e “Medici Senza Frontiere” che offrono supporto medico e psicologico, aiutando a superare traumi fisici e psicologici derivanti dal viaggio e dalle esperienze vissute nei Paesi di origine, oltre all’aiuto legale per il riconoscimento dello status di persone rifugiate e per l’accesso ai diritti fondamentali.
Anche i movimenti sociali hanno un impatto fondamentale nel promuovere una cultura di accoglienza e di solidarietà, sensibilizzando l’opinione pubblica e facendo pressione sulle Istituzioni: “WelcomeRefugees” e “No One Is Illegal”, per esempio, hanno organizzato manifestazioni, raccolte fondi e azioni per chiedere politiche migratorie più inclusive e giuste, costituendo una forma di resistenza contro la retorica xenofoba delle Destre, così come “Amnesty International” e “Human Rights Watch” continuano ogni giorno a denunciare le violazioni dei diritti delle persone rifugiate, documentando abusi nei centri di detenzione, nelle operazioni di rimpatrio forzato e nei trattamenti disumani durante le perquisizioni alle frontiere. Aggiungendo ovviamente quelle grandi e piccole realtà che si occupano di soddisfare i bisogni primari come, banalmente, fornire del cibo. Tutto questo è fondamentale per mantenere alta l’attenzione sul tema.
Non dobbiamo poi trascurare il livello locale, dato che molte cittadine e molti cittadini, magari costruendo dei veri e propri gruppi di volontariato, hanno sempre svolto un ruolo fondamentale contribuendo all’adattamento a una nuova cultura, all’apprendimento una nuova lingua e all’inserimento in una società che troppo spesso percepisce come “straniera/o” chi arriva da lontano. In questo contesto la solidarietà delle comunità locali è più che cruciale, costruendo un clima sereno e accogliente dove un futuro più dignitoso diventa possibile per chiunque.
Le sfide e le critiche alla solidarietà
In moltissimi Paesi europei le attività delle ONG e delle persone volontarie sono ostacolate da Leggi che criminalizzano l’aiuto umanitario a migranti. In Italia sappiamo bene come queste siano accusate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, con il rischio di sanzioni e sequestri delle navi, contribuendo nel creare un clima di paura tra operatori e operatrici, rallentando così gli interventi di salvataggio e di assistenza.
In molte comunità locali, poi, la solidarietà verso chi migra viene ostacolata dalla crescente xenofobia e paura dell'immigrazione vista come un’invasione di persone straniere che non solo non intendono integrarsi ma sono perfino portatrici di delinquenza: le politiche nazionaliste, l’aumento dei partiti di destra e la paura della “sostituzione culturale” alimentano una narrativa che vede dunque le persone migranti come una minaccia anziché una risorsa. Inutile dire che questa mentalità rende ancor più difficile sentirsi delle persone benvenute e benvolute nelle società che dovrebbero accoglierle nel più civile e umano dei modi, e questo non fa altro che inasprire le tensioni e incentivare la non integrazione.
La solidarietà della società civile si rivela quindi fondamentale per affrontare la crisi migratoria, dimostrato che l’accoglienza e l’inclusione sono possibili anche in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo. Tuttavia, per un cambiamento duraturo e stabile, è necessario che la solidarietà venga sostenuta e amplificata a livello politico, che le Leggi proteggano il lavoro delle ONG e che le comunità locali si uniscano nella costruzione di una società più inclusiva, nella quale la cultura e il clima generale siano aperti all’individuo prossimo e ai suoi diritti. La società civile può, e deve, essere una forza di cambiamento, ma ha bisogno di un quadro giuridico e politico che favorisca l’integrazione e la protezione di chiunque, senza guardare al passaporto.
Conclusioni
La crisi migratoria che stiamo vivendo è una delle sfide più gravi e complesse del nostro tempo, ma è anche un’opportunità per ripensare il nostro modello di società e per riaffermare i valori fondamentali che dovrebbero guidare ogni nazione: in primis dignità, solidarietà, e giustizia. Le storie di migranti come Fatima, Ahmed, e Sofia non sono solo storie di sofferenza ma anche di resilienza, speranza e desiderio di un futuro migliore. Perché dietro ogni volto c’è un sogno, un’aspirazione e una necessità di ricostruire una vita.
Le politiche migratorie devono iniziare a riconoscere davvero il diritto di ogni individuo a cercare un rifugio, una protezione e l’opportunità di vivere una vita migliore. Tutto questo non deve essere soltanto il frutto del dovere morale, ma anche una responsabilità legale per le Istituzioni: non stiamo parlando di una questione di sicurezza ma di giustizia sociale, per questo affrontabili soltanto con politiche che mettano al centro la persona, la sua tutela e il suo diritto all’integrazione, includendo poi la lotta alle cause profonde che spingono milioni di persone a lasciare le proprie case (la povertà, i conflitti, la disuguaglianza e i cambiamenti climatici, per esempio, affrontabili attraverso politiche di sviluppo sostenibile, promozione della pace e protezione dei diritti economici e sociali nei Paesi di origine).
E poi, se proprio non vogliamo farlo per chi arriva, possiamo sempre adottare un punto di vista egoistico: accogliere e integrare le persone migranti non è solo una questione di giustizia ma anche una strategia per costruire società più resilienti e inclusive, cementificando il senso di comunità, di appartenenza e di partecipazione, perché una società inclusiva è una società più forte, dove la diversità diventa un valore e una risorsa: una ricchezza e un’opportunità di crescita, non certo una spesa e un problema da risolvere.
In un mondo sempre più globalizzato le sfide comuni richiedono risposte comuni, per questo il futuro della migrazione deve essere visto come una parte integrante del nostro cammino verso una società globale più equa, giusta e umana: la migrazione è prima di tutto una realtà da comprendere per poterla gestire con empatia, rispetto e responsabilità, e per questo le politiche migratorie dovranno prima possibile rispecchiare il nostro impegno per costruire un mondo più giusto, dove le persone possano essere libere di scegliere il proprio destino senza paura e senza discriminazioni.
Certo, la strada è ancora lunga e tortuosa, ma attraverso il dialogo, la cooperazione e la solidarietà possiamo realizzare un futuro in cui i conflitti avranno lasciato spazio a un cammino di speranza e di opportunità per tutte e per tutti.
Grazie mille carissimo Jacopo per questo post!! Assolutamente d'accordo con quello che hai scritto, un 'analisi completa del fenomeno migratorio !👏👏👏
Molto difficile arrivare ad una soluzione della situazione, lo spero tanto però!
Ti saluto caramente e ancora grazie!