SANREMO 2025: le pagelle della finale
I miei commenti ironici, pungenti, “trash”… Alle esibizioni (e non solo) del Festival!
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Anche quest’anno siamo arrivati alla conclusione di Sanremo: vi ricordo che le mie pagelle delle serate precedenti le potete recuperare nella home della newsletter cliccando qui.
Per la serata finale trovo inutile fare nuovamente un commento di ogni singolo brano in gara, perciò mi concentrerò in questo caso su una sintetica “top 5” delle canzoni/artisti in gara, considerando la partecipazione generale al Festival.
E quindi ecco la pagella della FINALE!
💐 Momenti:
Non ci bastava lo stacchetto “Viva l’Italia” ogni tre per due, vagamente filo governativo, pure l’introduzione di Gabri Ponte con la canzone intera, che okay avrà pure fatto ballare l’Ariston però resta il primo grosso motivo per cui ringrazio che Sanremo sia finito.
Alberto Angela sveglia subito gli ormoni di mezza Italia sapiosessuale e non solo. Potrebbe raccontarci di tutto, e infatti è capace perfino di farci credere che “Terra promessa” di Eros Ramazzotti sia stata un capolavoro: è lui il nostro Impero Romano.
Non so se perché ero distratto dal pacco di patatine al pomodoro con la maionese ormai alla fine, ma ha tirato delle stecche paurose: un po’ il microfono che forse fischiava e un po’, sicuramente, la pessima condizione di salute apertamente dichiarata… Ma non importa, a Venditti si permette tutto questo, e quando è partita “Amici mai” ho iniziato a cantarla. Poco comprensibile però il premio alla carriera, visto il rapporto tra Antonello Venditti e il Festival che è sempre stato storicamente distaccato e, in alcuni momenti, addirittura critico: oltre a non aver mai voluto gareggiare ha spesso espresso opinioni poco lusinghiere sulla manifestazione, ritenendola più un evento mediatico che un reale trampolino di lancio per la musica di qualità.
La vera botta di gioventù c’è stata con l’esibizione dei The Kolors, quando è apparso un esemplare di Fru che si è messo a ballare scatenatissimo, facendo conquistare punti al Fantasanremo ma soprattutto spodestando “Cavallo pazzo”, all’anagrafe Mario Appiani, che nel 1992 riuscì a lanciarsi al centro del palco dell’Ariston al grido di “Questo Festival è truccato e lo vince Fausto Leali”. Da ieri ricorderanno solo lui!
Scende le scale Edoardo Bove, reduce da un grave attacco cardiaco sul campo che lo sta tenendo lontano dal suo calcio. Temevo il peggio, e invece qui Carlo Conti, senza pietismo, si è giustamente limitato a dare spazio alla testimonianza del calciatore che, per fortuna, non solo ha parlato in un italiano corretto (in barba ai pregiudizi) ma ha anche, con emozione, trasmesso due messaggi preziosi: l’importanza dell’andare in terapia e dell’essersi ritrovato al posto giusto nel momento giusto in un momento così drammatico, e dunque della prevenzione (quanti campi sportivi di periferia ancora oggi non hanno un numero adeguato di defibrillatori per il primo soccorso?).
👍🏻 Top 5
LUCIO CORSI (“Volevo essere un duro”):
Il migliore in assoluto e mi dispiace che per molte persone sia stato una rivelazione, speriamo che adesso abbia la visibilità e il successo nazionale che merita: ha portato talento, originalità, poesia, leggerezza e sogno. Quella con Topo Gigio è stata la cover più bella di Sanremo da quando ne ho memoria, tanto che mi sono commosso dalla delicatezza; l’ultima sera, la scritta “Andy” sotto lo stivale a omaggiare “Toy Story” è stata un colpo di genio. E poi le sue risposte ai media durante la settimana, le spalline della giacca imbottite di sacchetti pieni di patatine… Insomma, tutto perfetto, nulla fuori posto. Questo è stato il Suo Sanremo: onesto, cristallino, diretto. Come il trucco e gli abiti, quelli di sempre, mostrandosi autentico e non artefatto perché parte stessa della sua arte. Non ha vinto, e forse va meglio così, perché si è preso un secondo posto che spetta a quelli “normali”, ché tanto con lui ha già vinto il bel cantautorato. E vincerà sempre.
GIUDIZIO: vero artista.
BRESH (“La tana del granchio”):
Se da un lato ascolto Corsi “da sempre”, Bresh è stato nel mio caso una piacevole novità che mi ha fatto ricredere contro i pregiudizi iniziali. Sono diventato un suo fan? Bah, non credo, ma il suo brano è stato l’esempio di come la musica, a volte, sia più potente di qualsiasi cosa: appena uscito il testo avevo scritto: “Praticamente il nome di una bettola deserta dove si mangia menù a base di pesce e lui non contento ce l'ha portata pure per friendzonarla... Voto 4 per la cattiveria”. In realtà credo abbia portato, insieme a Olly (e infatti…), la canzone più sanremese di tutte, tanto che mi sarei aspettato un piazzamento migliore. Bella voce, la melodia ti entra in testa, è dolce ma non annoia: nel “Una chitarra che non suona / una borsa piena di buchi / se capisci che non ti amo / sei una sirena che non nuota” ci rivedo un amore al capolinea che arranca, prova a uscirne, forse a giustificarsi… E chi lo ha detto che la semplicità sia sempre e per forza banalità? Bravo Bresh. Hai fatto perfino il miracolo di portare l’unica cover per me sufficiente di tutti i tempi sull’intoccabile Fabrizio De André, dopo decenni di devastazione (ancora piango nel ripensare alla versione di Madame con Izi…), complice la corretta parlata genovese, almeno stavolta, e soprattutto la presenza del figlio Cristiano. Incredibile davvero.
GIUDIZIO: la sorpresa.
JOAN THIELE (“Eco”):
A proposito di sorprese, per me la rivelazione maggiore è stata lei: elegante e raffinata, con un brano ricercato e profondo (tra i migliori per qualità), cantato e interpretato perfino in un modo dannatamente sensuale. Joan Thiele scrive (in questo caso il testo è dedicato al fratello e alla loro storia familiare), compone e suona: per questo il suo ventesimo posto finale è un insulto alla buona musica, ma d’altronde in una società che a maggioranza sbava dietro al fisico di Elodie (nulla da dire, eh, pure molto brava) e critica un “monociglio e nasone” (cito dal social X) non potevo aspettarmi troppo. Peccato però che lo stile di Joan strabordi ovunque, in un equilibrio perfetto tra il pop commerciale e la purezza dell’indie, tra sonorità italiane e riferimenti internazionali. L‘underdog della quale avevamo bisogno per regalare un picco a un’edizione troppo piatta e lineare. Grazie, anche a Carlo Conti per averla portata su quel palco.
GIUDIZIO: classe.
BRUNORI SAS (“L’albero delle noci”):
Si è parlato tanto, troppo, del testo scritto da Cristicchi per la madre malata, ma dopo il terzo ascolto della canzone il sapore di “dolce stucchevolezza” inizia ad arrivare così forte che quasi ti senti in colpa. Brunori invece ha scritto la poesia più bella di tutte, per le sue “tre stelle polari” ma in particolare la figlia: come Corsi, Dario non ha stupito chi lo segue da anni, riconoscendosi nel suo cantautorato “di lato” come di lato è stato lui per tutto questo Sanremo, umile e modesto, genuino, mettendo avanti la sua arte vestito soltanto da una chitarra. Perché se è vero che certe emozioni non si possono spiegare, Brunori ci prova sempre e spesso ci riesce, rappresentando la vita nei suoi angoli più nascosti: e infatti il premio per il miglior testo ci sta tutto, finalmente! Ha fatto di meglio? Onestamente, per me quasi sempre, ma è stato Brunori, con il suo solito spessore, e ha portato una Canzone come si deve, a differenza dei più. Il talento è proprio questa cosa qui.
GIUDIZIO: una garanzia.
NOEMI (“Se ti innamori muori”):
Mi è molto dispiaciuto non vedere nemmeno una donna sul podio (toh, forse ci stiamo accorgendo che il discorso di Francamente appena eliminata da XFactor, meramente statistico, aveva un senso?), a maggior ragione non vedere Noemi che, tra tutte le concorrenti, ho trovato quella “più in alto” nell’equilibrio tra voce inconfondibile, solita bravura e canzone godibile. Non un capolavoro, sia chiaro, ma voglio menzionare anche il diritto ad ascoltare qualcosa di non impegnato che, per quei tre minuti, ti fa sognare o in generale star bene, come il suo timbro che riesce a rendere tutto un po’ speciale, anche un brano “mediocre” - nella sua accezione positiva. E poi ha salvato l’esibizione delle cover a Tony Effe, e già per questo si merita un abbraccio di consolazione (ovvio, avrei preferito si fosse rifiutata di duettare con lui, ma certe dinamiche non possiamo conoscerle, perciò…). Credo che sarà uno dei brani più trasmessi in radio nelle prossime settimane, o almeno spero, perché se lo merita davvero.
GIUDIZIO: incantatrice.
👗 Il miglior outfit
NOEMI
⭐️ La migliore esibizione
SERENA BRANCALE
📋 Conduzione
CARLO CONTI:
Dopo i disastri iniziali già raccontati nelle pagelle precedenti sul fronte del linguaggio abilista (riguardo Sammy Basso, Bianca Balti e Teatro Patologico), con le ultime due serate si è ripreso senza alcun danno: merito dell’intelligente ironia di Geppi Cucciari che lo ha simpaticamente “rimesso al suo posto” (e ovviamente di Conti stesso per essersi prestato al gioco) e delle canzoni durante la finale, che hanno fortunatamente avuto tutto o quasi lo spazio a disposizione. Dispiace, perché sono certo della sua buona fede, ma quando si è su un palco così importante aver cura dei messaggi che inviamo, e delle parole utilizzate, è il minimo. Il suo è stato un festival d’altri tempi, quasi Baudesco, che non ha fallito né è eccelso nonostante il successo degli ascolti: le canzoni sono state tutte godibili, senza particolari obbrobri (tranne un paio…) ma anche senza grossi capolavori. Tutto medio, lineare, rassicurante da un lato ma anche privo di grossi ricordi che fra due anni saranno ancora impressi, al contrario di qualche scena di Amadeus e Fiorello, per dire, che hanno saputo ben strizzare l’occhio alle nuove generazioni.
Apprezzabilissimo però il ritmo della scaletta, per il quale è stato tanto preso in giro ma che io ho trovato necessario: più canzoni, meno chiacchiere inutili, conclusioni a un orario accettabile. Il vero dispiacere? Ha dichiarato che non sarebbe stato un festival “politico”, ma tra sigla apparentemente filo-governativa, ringraziamenti continui a Forze dell’Ordine e Ministro Crosetto, esaltazione di Oriana Fallaci e perfino il ricordo delle Foibe, questo Sanremo è stato più politico del precedente in cui si è “osato” semplicemente chiedere lo stop al genocidio del popolo palestinese (con conseguenti polemiche, sia mai, per una questione che dovrebbe invece essere scontata). Un bel po’ di amaro in bocca, insomma, che sa tanto di allineamento a tele-Meloni giusto per non creare scompiglio a mamma RAI, ma d’altronde la responsabilità non è solo personale: ci sono autori, capi-autori, agenzie, e così via... Insomma, un macello, e Conti resta la punta di un iceberg. Però voglio confidare nel prossimo anno, perché dagli errori i professionisti bravi come lui sanno imparare, ascoltando, per migliorarsi. E io voglio crederlo. Anche perché i numeri, nella loro concretezza, ne hanno decretato comunque il successo, e la sfida era difficile:
Prima serata:
2024 (Amadeus): 10.561.000 spettatori con il 65,1% di share.
2025 (Carlo Conti): 12.600.000 spettatori con il 65,3% di share.
Serata finale:
2024 (Amadeus): 14.301.000 spettatori con il 74,1% di share.
2025 (Carlo Conti): 13.427.000 spettatori con il 73,1% di share.
GIUDIZIO: rimandato a febbraio, con fiducia.
ALESSIA MARCUZZI:
In assoluto la peggior co-conduttrice di quest’anno, riuscendo a “battere” perfino Elettra Lamborghini (almeno, a suo modo - molto a suo modo - simpatichina). Più volte fuori luogo e fuori tempo, mostrando un’assenza di professionalità mascherata da spontaneità, peccato però che di Geppi Cucciari ce ne sia una sola. Totalmente impreparata e dilettantesca, con gag forzate e vuote, tanto che se non conoscessimo la sua storia televisiva si potrebbe benissimo pensare che sia una conduttrice emergente. Avrà avuto chiaro dove si trovasse? Perché se da un lato Balti, Follesa e Cucciari hanno “rotto” qualcosa, Marcuzzi è tornata venti passi indietro regredendo a mera valletta con un ruolo debole e sciocchino, rafforzando cliché che dagli anni 90 tentiamo di combattere.
GIUDIZIO: evitabile.
ALESSANDRO CATTELAN:
Nonostante un paio di polemiche riguardo il DopoFestival, per me resta uno dei pochi fuoriclasse che abbiamo attualmente e lo ha dimostrato anche stavolta: Cattelan ha sempre i tempi giusti, sa stare su qualsiasi palco, con un Curriculum di tutto rispetto. Sottotono, però, durante questa finale, forse volutamente per non oscurare Conti e le esibizioni, o forse perché alla fine quello non è il posto perfetto per lui vista la rigidità prevista “dal protocollo” (anche se una sua conduzione di Sanremo, per me, sarebbe l’unica vera svolta pop necessaria). Torneremo comunque a vederlo altrove, e andrà meglio, come sempre.
GIUDIZIO: modesto.
Grazie mille per la compagnia in questa lunga e faticosa settimana, spero che le mie pagelle siano state un modo leggero per intrattenervi, con un po’ di ironia e sana goliardia, oltre che tanto amore per la musica... Al prossimo anno! ♥️
Sei davvero bravo. Scrivi con garbo e intelligenza.