Quando il personale sanitario costringe a fare coming out: intervista a Roberta Parigiani
Una brutta esperienza personale crea l’occasione per parlare di un tema che dobbiamo iniziare ad affrontare seriamente.
Avvocata e portavoce del MIT (movimento identità trans), Roberta Parigiani ha raccontato sulle sue storie di Instagram di aver dovuto fare un coming out forzato durante una visita dal dentista.
Questa sua “denuncia”, al di là della gravità specifica, è purtroppo un ottimo assist per parlare di un tema ancor più ampio, quello degli outing da parte del personale medico-sanitario.
Io che seguo e stimo Parigiani le ho subito proposto una chiacchierata per approfondire la questione…
Roberta, cosa le è accaduto qualche giorno fa?
“La vicenda descrive il costante minority stress che una persona trans patisce quotidianamente. Sono andata dal dentista per un banale intervento di pulizia dei denti, per il quale però sono stata sottoposta a uno sgradevole outing: oltre a dover comunicare l’assunzione della terapia ormonale sono stata costretta a riferire anche gli interventi chirurgici effettuati, come quelli di affermazione di genere. Nonostante avessi rappresentato di voler mantenere il riserbo sul ‘tipo’ di interventi subiti, sono stata posta davanti a un’alternativa secca: specificarli o rinunciare al dentista.”
Cosa ha rappresentato questo per lei?
“Uno stress francamente inutile che, al netto del mio caso, avviene sovente alle persone trans, raccontando con chiarezza il motivo per il quale la popolazione transgender tende statisticamente a rifuggire dalla sanità pubblica, ivi compresi i necessari esami di prevenzione.”
Parliamoci chiaro, è proprio necessario esprimere determinati dettagli? C’è un qualche obbligo che lo impone?
“Ogni informazione richiesta deve essere finalizzata a ottimizzare l’intervento e/o ridurre i rischi correlati, in questo contesto però non ha senso costringere una persona a fornire dettagli superflui e invasivi. Avrebbe molto più senso chiedere direttamente le informazioni utili ai fini sanitari: per esempio sarebbe sufficiente chiedere se si assumono farmaci che espongono a rischi di trombosi oppure anticoagulanti, se si sono subiti interventi che interferiscono con la specifica pratica medica… Senza insomma investigare circa dettagli inutili.”
Penso a chi non ha gli strumenti per affrontare tutto questo…
“Esatto, io sono un’attivista e posso gestire un outing ma in molti altri casi queste inutili esposizioni sono un vero e proprio ostacolo all’accesso sanitario delle persone trans, soprattutto in quei contesti escludenti e transfobici dove l’outing può persino diventare rischioso.”
Che intende con rischioso? Ancora c’è chi non comprende…
“L’Italia non è un luogo sicuro per le persone della comunità LGBTQIA+, dobbiamo prenderne coscienza. Per le persone trans, se da un lato abbiamo ormai da anni il primato europeo per il numero di omicidi motivati da transfobia, dall’altro siamo uno dei pochi Paesi rimasti che non prevede reati specifici per la repressione dei crimini di odio omolesbotransfobico. Il 2025 è da poco iniziato e già sono numerose le notizie di pestaggi omotransfobici avvenute in questi giorni. In un tale contesto, è del tutto comprensibile che si possa voler omettere un dato così sensibile, soprattutto quando si mette letteralmente il nostro corpo e la nostra salute in mano a una persona estranea, come un operatore sanitario.”
Come valuta il sistema sanitario italiano circa il rispetto e l’inclusione delle persone trans?
“Il corpo trans è inatteso e imprevisto nell’ambito del sistema sanitario. Il che non vuol dire necessariamente che ci sia un’ostilità sistematica ma che non c’è alcuna formazione e preparazione specifica sulle esigenze e necessità delle persone trans, che però esistono e hanno lo stesso diritto alla salute di tutte le altre. Accade ormai spesso di incontrare operatorə che, pur magari ben dispostə, sono comunque impreparatə e ammettono di non avere strumenti di conoscenza tecnica/medica specifici per prendere in carico i nostri corpi. Come se fossimo alieni. Credo che questo approccio sia comune anche a tutti quei corpi “difformi” dai canoni che la medicina reputa standard, come i corpi grassi o con disabilità.”
Cosa si sente di consigliare a chi ha vissuto un episodio come il suo?
“Dipende molto dal contesto in cui viviamo: in linea di principio sarebbe meglio prevenire queste ipotesi, cercando professionistə alleatə o sensibili. Ci sono reti di medichə transfemministə che su questi temi sono all’avanguardia. Alternativamente, possiamo chiedere al medico o alla medica di base di dirci in anticipo quali informazioni ha senso condividere e quali no nel caso specifico, così da non menzionare circostanze che da un lato vogliamo tenere riservate e dall’altro non hanno alcuna incidenza sulla questione medica.”
Abbiamo da poco superato le vacanze natalizie, con pranzi e cene durante le quali molte persone trans hanno ancora oggi subito vere e proprie violenze, penso per esempio all’uso del dead name da parte della famiglia… Parigiani, lei riesce a restare speranzosa?
“Fintanto che continueremo a parlarne, lo rimarrò: si possono fare passi avanti o indietro, l’importante è non abituarsi all’intolleranza, non normalizzarla e continuare a sentirsi scomodi ogni volta che la attraversiamo. Ogni lotta germoglia sempre da chi percepisce le ingiustizie come stonature, ma muore presto se abituiamo l’orecchio a quella stonatura e iniziamo a non notarla più.”
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