Pregiudizi e violenza sulle coppie con disabilità: il caso di Shane e Hannah è la punta di un iceberg
Quelle frasi che ho vissuto in prima persona e che non sono un problema personale ma collettivo, per questo dobbiamo lavorare affinché siano normalizzati tutti i corpi.
Parlai in un articolo di Shane Burcaw e Hannah Hayl qualche anno fa, quando esplosero su Instagram con alcuni loro video. Oggi sono cresciuti online (hanno rispettivamente 594.000 e 1 milione di follower) ma soprattutto come coppia: si sono sposati e convivono, hanno un cane e portano avanti i loro progetti su disabilità e inclusione rompendo stereotipi e pregiudizi raccontandosi spontaneamente.
Shane ha una disabilità ben visibile, Hannah no. Shane ha un corpo non conforme, Hannah è bellissima (per i canoni della società). Basta questo per trovare, tra quei quasi 2 milioni di utenti totali, delle mele marce che ciclicamente li deridono, insultano, attaccano con frasi indecenti cariche di pregiudizi e luoghi comuni.
Niente di nuovo, purtroppo, sono le logiche tossiche del web e della grande visibilità, ma c’è qualcosa di ben più profondo in questo caso che affonda le sue radici “nella vita vera” e non solo in quella virtuale e superficiale. Pensieri dannosi che sconfinano oltre gli schermi e che oggi, nel 2024, non sono più tollerabili, perché invadono anche gli aspetti più intimi dove, invece, dovremmo sentirci al sicuro, vivendoli con serenità e in libertà senza doversi preoccupare di giudizi altrui così infestanti.
L’ennesimo attacco alla coppia è arrivato come uno tsunami da oltre 100.000 persone in seguito a un loro video parodia (l’ironia è una cifra distintiva della coppia, che con leggerezza riesce a portarci in modo efficace nella loro quotidianità fatta di sfide ma anche di piccoli grandi traguardi, spesso rispondendo alle domande più disparate per fare educazione al riguardo - anche se di “parlarne” non dovrebbe esserci bisogno).
Sotto il video, che mentre scrivo adesso ha raggiunto ben 21 milioni di visualizzazioni, sono apparsi subito commenti di una violenza inaudita e carichi di stereotipi che siamo stufi, davvero, di dover ancora combattere in un periodo storico che, ormai, dovrebbe aver abituato il nostro sguardo sociale a una certa - apparente - diversità.
Questi sono solo alcuni tra i commenti peggiori, supportati addirittura da centinaia di migliaia di like:







In ciascuno di questi possiamo trovare appunto dei cliché (per essere gentile) sulle “coppie miste”, termine che mi fa rabbrividire ma che ancora oggi viene purtroppo usato per indicare quelle coppie di persone che hanno una relazione romantica dove una delle due ha una disabilità certificata mentre l’altra no. D’altronde, parlare di amore senza etichette sarebbe troppo facile, no?
(Che poi, anche l’idea che due persone possano stare insieme, in questo caso, solo se c’è una gran quantità di amore da poter “sopportare/superare” la disabilità del/della partner, è piuttosto ridicola dal momento che si può stare insieme anche per puro piacere, con leggerezza, perfino se si hanno condizioni fisiche o cognitive più difficoltose…).
Eppure, purtroppo, allargando lo sguardo oltre questo episodio notiamo che certe esternazioni non si differenziano di molto tra i generi, anche se nel caso di Uomo disabile + Donna "normodotata" la cosa pare a volte perfino peggiorare, comparendo (oltre alle varie “giustificazioni” sessiste tra le quali «lei sta con lui disabile perché ricco!») perfino la sindrome da crocerossina, cosa che con Donna disabile + Uomo “normodotato” sembra essere meno frequente (mentre siccome l’uomo che tradisce è considerato un figo, oggi, si pensa più facilmente che, in questo caso, lui abbia almeno un’altra relazione “normale” per compensare quella di facciata e sicuramente insoddisfacente in quanto mancante di qualcosa, certo...).
La responsabilità collettiva
Se pensiamo che la colpa sia individuale, ovvero di chi lascia andare un certo fiato dalla bocca (o dalle dita), ci sbagliamo di grosso: il problema non è personale ma collettivo, per questo finché non lavoreremo seriamente a livello culturale affinché siano normalizzati tutti i corpi (ma proprio tutti) e la loro possibilità di dare/ricevere piacere, oltre che di essere attraenti a prescindere da agenti esterni (non solo intelligenza e carisma, ma anche status sociale e professionale, ecc...) resteremo sempre fermi qui, al ricevere ondate di odio inqualificabili sui social e nella vita reale con commenti al vetriolo che nulla hanno a che fare con il diritto di opinione e di critica, bensì con quella violenza che invade le vite altrui e pretende di giudicarle e manovrarle, seppur indirettamente, secondo le proprie visioni distorte da decenni di bias cognitivi.
Parlo volutamente di “tutti i corpi”, non riferendomi soltanto a quelli non conformi a causa di una disabilità evidente, perché questo schifo non riguarda una nicchia ristretta della società:
gente troppo alta o troppo bassa;
gente troppo magra o troppo grassa;
gente "semplicemente brutta" perché fuori da degli stupidi canoni di bellezza imposti da una cultura patinata...
Tutto questo ci tocca ogni giorno dentro e fuori le relazioni, sul posto di lavoro, alle cene di famiglia... Insomma, appena mettiamo piede fuori da casa, ad ogni angolo. Giudizi tossici basati su delle sovrastrutture che dobbiamo estirpare prima che sia troppo tardi, perché è già tardi. E a dircelo è chi è vittima di discriminazioni e bullismo, ma soprattutto chi dirlo non può più farlo.
Serve vedere le persone. Serve valorizzare l’ “essere”.
“Perché stai proprio con lui?”: la statistica e la mia esperienza
La statistica ci dice che se una persona, passeggiando per strada, vede un ragazzo in carrozzina mano nella mano con una ragazza che cammina senza alcun problema, sarà portata a pensare che quella ragazza (in ordine) è sua sorella, oppure la sua assistente/infermiera, infine una sua amica, ma solo una piccola minoranza penserà che quella ragazza sia la sua fidanzata/moglie, tantomeno la sua amante/playpartner. Già questo dovrebbe indicarci quanto ancora ci sia da lavorare per rompere i muri che ostacolano la sessuo-affettività nel nostro Paese (già di per sé tema tabù, figurarsi se associato a un altro tabù che è quello della disabilità fisica e mentale).
Da persona che nella sua vita, forse per qualche merito e pregio personale oltre anche a un po’ di fortuna nell’incrociare persone giuste al momento giusto, non ha mai avuto più difficoltà di quante ne possa avere una persona “normodotata” nell’avere delle relazioni, provo un profondo sconforto nella consapevolezza che là fuori ci siano persone che in qualsiasi momento possano screditare eventuali mie frequentazioni trovando delle giustificazioni non solo offensive ma anche lesive del valore umano: «sta con lui perché forse è ricco», «sta con lui per sfruttare la sua visibilità», «sta con lui per il suo lavoro e per uno status sociale», «sta con lui per mostrarsi una brava ragazza agli occhi altrui», «sta con lui perché ha proprio perso la testa», e così via.
Frasi che ho vissuto in prima persona in qualche occasione, e che per carattere ho sempre lasciato scivolare via piuttosto facilmente, ma quando provengono dalle persone più vicine alla tua partner, cioè proprio da coloro che dovrebbero avere a cuore la sua felicità e sostenere le sue scelte, beh, due domande te le fai: “Perché stai proprio con lui quando potresti avere chiunque vorresti?” è stato, ad esempio, un mantra che ha accompagnato la relazione più tossica che io abbia avuto, fortunatamente breve, annullando tutto ciò che di buono (ammesso ci sia, sia chiaro) io abbia da dare, all’ombra di una disabilità che, per quanto complessa, non si scosta poi di molto rispetto a problematiche che qualsiasi partner “normodotato” potrebbe arrecare in qualsiasi momento: mancanza di ascolto e comprensione, empatia azzerata, anaffettività, gelosia, prepotenza...
Cambiano i corpi, cambiano le storie e i bagagli che ci portiamo dietro, cambiano le difficoltà nel tipo ma, spesso, non nell’intensità.
In tutto questo, esclusi i bassi che capitano sempre nella vita, è inaccettabile che ci si debba sentire persone privilegiate nell’avere una sfera sessuo-affettiva attiva e positiva solo perché si ha una disabilità. Come fosse un debito verso chi è “normo” ma ciò nonostante ancora sola o solo per i motivi più disparati, non ultimi quelli caratteriali.
Per tornare alla sindrome da crocerossina/o, facciamo dunque che la beneficenza la lasciamo al terzo settore, che di compassione e pietismo ne ostenta fin troppo alle volte; così come l’odio esternato (punta di un iceberg ben più profondo, sul quale servono ancora molti anni di lavoro per scioglierlo del tutto) a chi non sa stare al mondo e non ha ancora compreso cosa e chi sia davvero in grado di trasmettere qualcosa di desiderabile seppur apparentemente diverso. Che poi è sempre soggettivo, d’altronde ci piace ciò che ci piace, fortunatamente. O almeno dovrebbe essere così, senza schemi e barriere.
Per quanto odio ci sia su questo pianeta, e soprattutto sul web, è stato bello vedere che dopo la denuncia di Shane in un video, i commenti di quello preso di mira sono stati totalmente inondati da amore e positività, tanto da far sparire quelli carichi d’odio. L’unico modo per combattere il negativo è seminando positivo❤️
Se pensi che alcune catene alberghiere (e siamo quasi nel 2025) hanno a disposizione dei disabili soltanto camere con 2 lettnii separati!!!questa normativa mi piacerebbe sapere da quale mente eccelsa sia scaturita perché dicono sia per una non meglio precisata questione di sicurezza!
quindi qualcuno ha deciso che (un ulteriore volta al posto di chi vive una disabilità) una persona disabile Non può avere una vita di coppia!!!🤷♂️🤕🤮🤯😡😠🤬