Pedro Rodríguez e il coraggio di crescere liberi
La tiara della discordia e la lezione di un padre tra identità, infanzia e responsabilità educativa.
Inquadriamo il fatto: Pedro Rodríguez, attaccante della Lazio, ha pubblicato sui social una foto insieme alla sua compagna e al figlio Marc durante la festa del suo ottavo compleanno al “Siam Park” (il miglior parco acquatico del mondo che si trova a Tenerife). Nello scatto, il bimbo indossa un vestitino con i lacci sulle spalle e una tiara arcobaleno in testa, sorridendo felice.
Si tratta della condivisione di un momento sereno come un altro, come fa molta gente comune sui social, eppure è stata immediata la valanga di commenti “critici” – alcuni proprio offensivi, perfino oltre il limite della civiltà, sotto quella foto che, ricordiamo, riguardava un minorenne.
Uscite sessiste, omofobe e profondamente stigmatizzanti che mettono in discussione non solo l’identità del piccolo Marc ma anche il ruolo del padre.
Questo è stato il commento del calciatore al riguardo:
“Marc è un bambino fantastico, con una sensibilità fuori dal comune. Ha un modo tutto suo di vedere il mondo, e io ogni giorno imparo qualcosa da lui. Per il suo compleanno ha voluto una festa a tema Lilo & Stitch, con una tiara in testa e un vestitino. Mi ha guardato e mi ha detto: ‘Papà, posso?’ E io gli ho detto sì, ovviamente. Perché dovrebbe esserci qualcosa di sbagliato nel voler essere felice nel proprio giorno speciale? Le foto le ho pubblicate con orgoglio, com’è giusto che sia. Poi ho visto i commenti, alcuni davvero pesanti. Non tanto per me, ma perché mi fa rabbia pensare che ci siano ancora persone che non sanno vedere oltre i loro pregiudizi. Marc è mio figlio, e io lo amo esattamente per com’è. Non mi interessa se qualcuno storce il naso: io so quanto è speciale, quanto è amato, e quanto è libero. E se c’è qualcosa che voglio insegnargli è proprio questo: che può essere chi vuole, senza paura”.
Una risposta a parer mio esemplare, che in poche frasi riesce a sottolineare l’importanza del crescere autentici, felici e rispettosi della propria identità e di quella altrui. Ma parliamone meglio…
Nel contesto contemporaneo, in cui i dibattiti sull’identità di genere e sull’autodeterminazione si intrecciano anche con le dinamiche digitali, culturali e pedagogiche, la vicenda di Pedro Rodríguez assume un valore profondamente significativo.
Tra stereotipi e normatività
La reazione negativa generata dalla fotografia riflette una resistenza culturale ancora fortemente ancorata a stereotipi di genere normativi e binari che tendono a consolidare ruoli sociali rigidi e predefiniti. Le critiche, infatti, si sono concentrate non solo sulla libertà del bambino di esprimersi attraverso abiti non conformi ai codici tradizionali del genere maschile, ma anche sulla presunta inadeguatezza del padre e del suo ruolo educativo, accusato di incoraggiare comportamenti considerati “devianti” da una parte considerevole dell'opinione pubblica.
Tuttavia, l’affermazione di Pedro non si è limitata a un atto di amore paterno, è stata una presa di posizione pubblica, culturale, che rivendica il diritto all’autenticità dell’infanzia: un vero e proprio atto politico in difesa della diversità, dell’inclusione e della libertà identitaria, soprattutto in un’epoca in cui le soggettività non conformi sono ancora oggetto di marginalizzazione e discriminazione.
Il suo gesto ha mostrato una consapevolezza educativa rara e preziosa, in grado di influenzare positivamente non solo l’ambiente familiare, che si presuppone già formato, ma anche il discorso pubblico. E oggi più che mai c’è bisogno di mostrare, e difendere, realtà che per fortuna trovano una sponda maggiore, di sostegno, rispetto anche solo a dieci anni fa nonostante siano sempre esistite seppur con una minore consapevolezza.
La responsabilità collettiva
L’accanimento mediatico e social contro un bambino innocente è indice di un problema sistemico e trasversale: l’incapacità collettiva di accettare modelli alternativi di mascolinità e femminilità, così come di paternità e in generale di genitorialità. In molti casi, come si è dimostrato in questo, le piattaforme digitali si trasformano in spazi di legittimazione dell’odio, amplificando stereotipi e pregiudizi che altrimenti resterebbero ai margini del discorso sociale: maneggiamo uno strumento potentissimo senza ancora aver compreso quanti danni possiamo creare con un solo “invio”.
La reazione di Pedro ha decostruito, in modo semplice e spontaneo, questi modelli imposti e amplificati dal megafono social, offrendo una narrazione alternativa fondata su empatia, ascolto, accoglienza e rispetto dell’autonomia individuale, svolgendo una funzione pedagogica, sociale e simbolica.
Promuovere ambienti inclusivi, capaci di accogliere la pluralità delle espressioni identitarie e affettive, non è soltanto un obiettivo etico ma una responsabilità collettiva e istituzionale: l’educazione alla diversità, il contrasto agli stereotipi di genere e la promozione del benessere psicologico di bambine e bambini devono restare al centro di ogni progetto educativo serio e consapevole se vogliamo costruire una società più serena e rispettosa.
Al tempo stesso, le piattaforme digitali in particolare devono essere considerate come spazi di dialogo, di crescita e riflessione critica, e non come veicoli di esclusione o strumenti di aggressione verbale, essendo ormai la realtà digitale sovrapposta a quella “offline”, portando a effetti e conseguenze più che concrete.
(Secondo Terre des Hommes, circa il 48 % dei giovani tra i 14 e i 26 anni dichiara di aver subìto cyberbullismo: sono circa 200 i suicidi all’anno in Italia tra i giovani, in parte attribuibili a malessere psicologico legato a bullismo e cyberbullismo, con un tentativo aumentato del 75% negli ultimi due anni).
Verso una nuova cultura dell'infanzia
Servono più affermazioni chiare e coraggiose come questa. Servono posizionamenti che contribuiscano a ridefinire il significato di paternità in chiave inclusiva e progressista, finalmente.
Per questo le parole di Pedro Ridríguez invitano a una riflessione critica e profonda sui modelli educativi dominanti, sulla cultura della performatività di genere e sulla necessità di proteggere il diritto all’espressione individuale fin dall’infanzia: la sua voce, con oltre 8 milioni di ascoltatori soltanto su Instagram, non è solo la reazione di un padre ma si inserisce in una cornice più ampia, quella della lotta contro le discriminazioni e della valorizzazione delle diversità come risorse.
Nessun bambino dovrebbe mai sentirsi sbagliato per il proprio modo di essere, e ogni persona adulta dovrebbe sentirsi legittimata, supportata e incoraggiata a sostenere questo percorso di crescita libera, empatica e consapevole. E la nostra società ha il dovere morale, culturale e giuridico di garantire questo spazio di dignità a ogni essere umano fin dai suoi primi anni di vita.
Al piccolo Marc auguro un futuro in cui il suo essere se stesso non incontrerà mai più odio bensì ascolto, comprensione e supporto, certo di crescere circondato dall’amore giusto. Anche se spesso non basta: pensiamoci, tutte e tutti.
Alcuni libri per approfondire:
“Il corpo giusto” (Jennifer Guerra, 2021) – Un saggio divulgativo che affronta con sensibilità e rigore le costruzioni culturali intorno al corpo femminile e all’identità di genere, con riflessioni utili anche per comprendere l’influenza sociale su chi è più giovane.
“Il genere: un concetto da decostruire” (Judith Butler, 1990 / ed. italiana 2013) – Fondamentale per comprendere come il genere non sia un dato naturale ma una costruzione performativa attraverso una prospettiva filosofico-politica.
“Educare alla libertà. Infanzia, educazione e diritti umani” (Francesco Tonucci, 2001) – Pedagogia centrata sul rispetto dell’identità infantile, promuovendo un’educazione fondata sulla libertà e sull’autonomia del bambino.
“Maschi tossici. La virilità come causa della violenza” (Jack Urwin, 2016) – Analizza la costruzione sociale della mascolinità e le sue conseguenze psicologiche e sociali, offrendo chiavi interpretative per comprendere le reazioni violente al non conformismo di genere.
“L’infanzia come diritto. Riconoscere, proteggere, valorizzare” (Luigina Mortari, 2012) – Esplora la relazione tra etica dell’educazione e diritti dell’infanzia, utile per contestualizzare le responsabilità adulte in un’ottica pedagogica e civile.
“Media e identità: Genere, corpo, rappresentazione” (Giovanna Cosenza, 2014) – Analizza come i media influenzano la costruzione dell’identità, soprattutto nelle persone giovani, e come possono contribuire a rafforzare o decostruire stereotipi di genere.
“Papà, mamma e gender” (Massimo Recalcati, 2015) – Riflette sul ruolo dei genitori nel processo di costruzione identitaria offrendo spunti utili anche per affrontare il tema della libertà di espressione nei figli.
“LGBTQ+ Family: Le nuove famiglie spiegate a tuttə” (Simone Alliva, 2023) – Un libro che racconta in modo accessibile le trasformazioni delle famiglie contemporanee ponendo attenzione a foglie e figli e ai percorsi educativi con uno sguardo inclusivo.
“Infanzia e identità di genere. Un approccio interdisciplinare” (a cura di Chiara Bertone e Federica Zanetti, 2020) – Raccolta di saggi che esaminano l’identità di genere in età evolutiva da una prospettiva sociologica, pedagogica e psicologica.
“La società della performance” (Maura Gancitano e Andrea Colamedici, 2018) – Un’analisi del nostro tempo che aiuta a comprendere le pressioni sociali su individui e famiglie, utile per contestualizzare i meccanismi di giudizio e spettacolarizzazione nei social media.
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Ottimo articolo, come sempre. C'è tanto da camminare per diventare intelligenti, sensibili e rispettosi