L’attacco di Donald Trump all’inclusione delle persone disabili, tra demagogia e pregiudizi
Quando i potenti mentono e deridono per devastare anni di progressi sociali.
Nei giorni scorsi Donald Trump ha scatenato un’ondata di polemiche con dichiarazioni infondate e discriminatorie sulle politiche riguardanti l’inclusione: secondo il neo Presidente degli Stati Uniti, un disastro aereo verificatosi a Washington sarebbe stato causato dall’assunzione di persone con disabilità nel settore dell'aviazione.
Questa affermazione, priva di qualsiasi riscontro oggettivo, rischia ovviamente di diffondere pregiudizi dannosi, ma soprattutto di minare anni e anni di faticosi progressi verso una società più equa e inclusiva, nella quale le persone con disabilità dovrebbero essere pienamente integrate anche per quanto riguarda, in questo caso ma non solo, la sfera lavorativa.
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La realtà dei fatti
A smentire le parole di Trump, basate su una retorica populista anziché su dati concreti, sono proprio le stesse indagini preliminari sull’incidente: stando ai primi rilievi, la tragedia sarebbe stata causata dalla mancanza di personale qualificato nel controllo del traffico aereo, problematica ben nota e non certo legata alle politiche DEI (Diversity & Inclusion) riguardanti in primis le persone con disabilità.
Questa non è la prima volta che Trump usa la discriminazione come leva politica, sfruttando le paure e l’ignoranza della popolazione per consolidare il proprio consenso, e così anche stavolta ha scelto come bersaglio le persone con disabilità accusandole indirettamente di essere un pericolo per la sicurezza pubblica. Un’accusa certamente grave che richiama le peggiori forme di esclusione e stigmatizzazione della storia.
Piccola parentesi: il programma pilota per l’inclusione di persone con disabilità nel controllo del traffico aereo è stato avviato nel 2019, proprio sotto l’amministrazione Trump! Questo rende le sue critiche non solo infondate, ma anche profondamente incoerenti.
Per non dimenticare: il caso di Serge Kovaleski
Durante un comizio in South Carolina nel novembre 2015, Trump imitò i movimenti di Serge Kovaleski, un giornalista del New York Times che, a causa dell’artrogriposi, ha una limitazione ai movimenti delle articolazioni.
Trump stava rispondendo a un articolo di Kovaleski che smentiva l’affermazione del Presidente secondo cui migliaia di musulmani avrebbero festeggiato l’11 settembre 2001 nel New Jersey. Così mentre parlò di Kovaleski, Trump agitò le mani in modo scoordinato e disse con voce strascicata: “Ah, ah, non so cosa ho detto! Non ricordo! Forse lo so, forse no!", con una mimica e un tono che ricalcavano le difficoltà motorie del giornalista.
L’episodio fu ampiamente criticato in quanto derisione di Kovaleski per la sua disabilità, Trump però negò di averlo fatto intenzionalmente e sostenne che quel modo di gesticolare fosse una sua espressione abituale per indicare una persona in difficoltà o sorpresa… Ad ogni modo, il New York Times rispose con una dichiarazione ufficiale definendo il suo gesto “ripugnante”.
Questo episodio è stato spesso citato come prova del linguaggio offensivo di Trump, nonostante chi lo sostiene abbia sempre cercato di minimizzare o negare che si trattasse di un attacco diretto alla disabilità del giornalista.
Il pericolo di una retorica dannosa
Il discorso di Donald Trump si inserisce dunque in un quadro più ampio di attacchi sistematici alle politiche di “diversità e inclusione”: con la sua retorica, Trump non solo diffonde falsità ma continua ad alimentare anche un clima di odio e discriminazione che ha conseguenze reali, tangibili nella vita di ognuna e ognuno, considerato che quando figure di alto profilo, o comunque potenti e visibili, utilizzano il loro potere per diffondere pregiudizi si rischia di rafforzare stereotipi e di rendere ancor più difficile la piena integrazione di persone marginalizzate, che si tratti nel mondo del lavoro, nell’istruzione o più in generale nella società, con tutte le relazioni che ne derivano.
Serve quindi ricordare che le politiche di inclusione non sono un lusso o una concessione bensì un diritto fondamentale da garantire. Per questo non si tratta nemmeno di favorire alcune categorie a scapito di altre, ma di garantire pari opportunità a tutte e tutti, permettendo a qualsiasi individuo di contribuire alla società secondo le proprie capacità.
Peraltro non c’è da stupirsi viste le amicizie scelte: com’era quel detto? “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei…”, ecco.
Anche il “compare scelto” Elon Musk è stato coinvolto in episodi offensivi nei confronti delle persone con disabilità, per esempio utilizza spesso il termine “ritardato” come insulto sulla sua piattaforma X, termine ovviamente considerato offensivo in primis verso le stesse persone con disabilità intellettive.
In un altro caso, Musk ha licenziato una dipendente di Twitter e successivamente l’ha descritta come “un caso tragico di Tourette in età adulta”, utilizzando appunto anche questa specifica condizione come insulto.
Ma un caso ancor più noto risale a marzo 2023, quando Haraldur Thorleifsson, un dipendente di Twitter con distrofia muscolare, che si sposta in sedia a rotelle, perse l’accesso al suo computer aziendale per nove giorni senza ricevere spiegazioni: di fronte al silenzio del reparto risorse umane, decise così di contattare direttamente Elon Musk su Twitter per chiarire la sua situazione lavorativa, così Musk rispose pubblicamente mettendo in dubbio il contributo lavorativo di Thorleifsson e insinuando che la sua disabilità fosse una scusa per non lavorare: “Questo ragazzo, che è benestante, non lavora e rivendica come scusa di avere una disabilità che gli impedisce di digitare con i tasti ma non di twittare”.
Allora Thorleifsson replicò spiegando la sua situazione e cosa, da vent’anni, comportasse per lui, compreso crampi alle mani dopo aver scritto per più di un’ora, ma sottolineando che, nonostante la sua limitata capacità di digitazione, il suo ruolo in Twitter consisteva principalmente nel fornire indicazioni strategiche e tattiche ai team, attività che poteva svolgere efficacemente.
Solo dopo le numerose critiche ricevute, Musk si scusò pubblicamente con Thorleifsson, affermando: “Vorrei scusarmi con Halli per aver frainteso la sua situazione. Mi ero basato su cose che mi erano state dette e che non sono vere”.
La necessità di un dibattito basato sui fatti
Le parole di Trump non sono solo offensive ma rappresentano un pericoloso passo indietro nel percorso collettivo verso la costituzione di una società più giusta. In un mondo sempre più complesso e denso, abbiamo bisogno di un dibattito basato su fatti concreti e non su slogan populisti volti a seminare paura, intolleranza e divisione scegliendo le vie più semplici, quasi sempre egoistiche (per un proprio evidente tornaconto).
Trovo assurdo nel 2025 dover ancora ribadire il fatto che le persone con disabilità meritino rispetto, inclusione e opportunità, e non accuse infondate che le trasformano in capri espiatori di problemi ben più complessi. Se vogliamo costruire un futuro migliore è essenziale contrastare con fermezza ogni forma di discriminazione, promuovendo un’informazione basata sulla verità dove nessuna minoranza dev’essere più sfruttata come tappabuchi delle proprie responsabilità governative.
Il grande problema non è solo Trump,ma i milioni di americani che lo hanno votato