La violenza sulle donne disabili è una violenza dimenticata
Fino al 68% delle donne con disabilità subisce una violenza nel corso della vita, cosa possiamo fare per evitarlo?
C’è un tipo di violenza di cui non si parla abbastanza, nemmeno il 25 novembre perciò figuriamoci il resto dei giorni, ed è quella verso le donne con disabilità: si stima infatti che circa il 38% delle donne con problemi motori abbia subìto violenze fisiche o psicologiche, salendo poi al 50% quando si parla di disabilità mentali o psichiatriche.
Più in generale, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità le donne disabili sono da due a tre volte più a rischio rispetto a quelle così dette “normodotate”, idea rafforzata da alcuni studi che indicherebbero come fino al 68% delle prime subìsca una violenza nel corso della vita.
Si tratta di un problema che unisce la discriminazione di genere all’abilismo (che ricordo essere la discriminazione delle persone per la loro disabilità), portando a rischi ulteriori a causa di una maggiore vulnerabilità e della mancanza di protezioni adeguate.
Esistono in questo caso più tipi di violenza:
Fisica e sessuale: abusi sia all’interno che all’esterno della famiglia, compiuti spesso da persone di cui le donne si fidano o da cui dipendono (caregiver, familiari, assistenti personali, operatori e operatrici della sanità o partner);
Violenza psicologica: manipolazione, isolamento sociale, umiliazione o minacce legate alla disabilità, ma anche privazione di strumenti per l’assistenza e di ausili come carrozzine o protesi;
Violenza economica: sfruttamento finanziario o privazione del controllo delle risorse economiche, rendendo le donne ancor più dipendenti dai loro aggressori;
Violenza istituzionale: quando le Istituzioni pubbliche o private, come case di cura e ospedali, non rispettano i diritti delle donne con disabilità o le espongono a trattamenti degradanti e abusi;
Negligenza: mancata assistenza per le loro necessità quotidiane o perfino abbandono, sia nei contesti familiari che istituzionali.
Come possiamo vedere, i fattori di rischio principali sono la dipendenza dalle altre persone (per la necessità di supporto quotidiano che può esporle a relazioni di potere squilibrate), le barriere nel denunciare (fisiche e comunicative come la mancata accessibilità nei centri antiviolenza o nei luoghi delle forze dell’ordine, la paura di non essere credute , ma anche la scarsa formazione del personale che dovrebbe assisterle), l’isolamento sociale che riduce le possibilità di chiedere aiuto, e infine gli stereotipi e i pregiudizi (come l’idea che certe donne siano "asessuate", o comunque incapaci di comprendere cosa sia davvero una violenza).
Le conseguenze di tutto questo possono essere devastanti, tra danni fisici e gravi ripercussioni psicologiche, effetti che possono essere amplificati dalla mancanza di un supporto adeguato. Quindi cosa si dovrebbe fare per intervenire in modo efficace?
Per prima cosa è fondamentale garantire l’accessibilità dei servizi antiviolenza, per esempio organizzando gli spazi in modo adeguato per le persone con disabilità motoria oppure assicurando la presenza di interpreti LIS per le persone sorde.
In secondo luogo serve investire nella formazione del personale sanitario, sociale e delle forze dell’ordine, che devono essere in grado di riconoscere e quindi affrontare i bisogni specifici delle donne con disabilità. Questo lo si fa anche attraverso la sensibilizzazione per una maggiore consapevolezza circa il problema, ma anche con la promozione di politiche che proteggano i diritti di tutte le donne (mi sembra palese che le Leggi e le iniziative contro la violenza di genere dovrebbero includere specifiche misure anche per le donne con disabilità, eppure raramente è così - giusto per non dire “mai”).
Insomma, nonostante la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) e le leggi contro la violenza di genere, l’attuazione pratica di queste norme si dimostra nei fatti ancora insufficiente. Per questo serve adottare un approccio inclusivo anche per affrontare questa forma di sopruso, e io insisto: partendo proprio dall’educazione delle ragazze e, soprattutto, dei ragazzi, in famiglia così come a scuola (ovviamente attraverso un lavoro svolto da figure professionali qualificate e formate in materia), affinché si diffonda una vera e piena cultura del rispetto e della parità, a prescindere da ciò che è conforme o meno a livello fisico e cognitivo. Perché le persone, così come l’odio e le manifestazioni tossiche di potere, non hanno differenze sostanziali.
Bell'articolo, complimenti! Sarebbe bello leggerne sulle testate nazionali...per dare visibilità e pubblicità all'argomento, molto importante.
Buon lavoro :)
Iacopo, come sempre hai centrato un problema importante, forse sottovalutato e sottostimato finora. Grazie