La vicenda di Adriana Smith è un insulto alla dignità delle donne
Tra “Il racconto dell’ancella” e “Black mirror”, con il risultato di un film dell’orrore.
So già che questo articolo susciterà polemiche e divisioni ma non mi interessa: ho promesso a me stesso che sarei sempre stato coerente con le mie idee, soprattutto in difesa dell’auto-determinazione e dell’auto-rappresentanza.
So altrettanto bene che quando si parla di bambine e bambini, e di natalità, la questione si fa ancor più spinosa. Vi prego però, prima di lasciarvi andare al comprensibile sentimentalismo, di attaccare la spina della razionalità, accostando all’etica e alla morale la parte scientifica che, in questa storia, è a parer mio basilare.
Riavvolgo ora il nastro per inquadrare la vicenda…
Si chiama Chance, ovvero “opportunità”, ed è la bambina nata da Adriana Smith, un’infermiera trentenne dichiarata cerebralmente morta e tenuta in vita per quattro mesi da un ospedale degli Stati Uniti al solo scopo di farla partorire.
Siamo in Georgia, dove l’aborto è vietato a partire dalla sesta settimana di gravidanza, così per Adriana e la sua piccola, arrivata alla nona settimana quando è sopraggiunta una trombosi cerebrale che le è risultata fatale, il destino è stato forzatamente segnato: Adriana ha smesso di essere una donna ed è drammaticamente diventata soltanto un utero.
Nei giorni scorsi la bambina è nata prematura, del peso di appena mezzo chilo, attraverso un cesareo attuato d’urgenza, dopodiché la madre è stata staccata dalle apparecchiature che fino a quel momento avevano permesso al suo cuore di battere e ai polmoni di continuare a respirare, rendendola praticamente un’incubatrice umana, comunque morta, con il solo scopo di portare a termine la gravidanza.
Lo so, potremmo vedere tutto questo come un estremo gesto d’amore, e sarebbe decisamente più facile per noi, soprattutto perché non impegnerebbe troppo la nostra coscienza nel ragionare da un punto di vista oggettivo, il fatto però è che Adriana Smith non ha potuto scegliere per sé, e quando non si può scegliere per noi stesse e noi stessi la parola dovrebbe spettare quantomeno ai familiari, ma così non è stato.
La madre di Adriana, April Newkirk, aveva infatti già denunciato a metà maggio l’imposizione della decisione presa dall’Emory Hospital:
“Noi avremmo voluto staccare la spina ma ci hanno detto che non era possibile”.
La legge della Georgia è una delle più restrittive degli USA, vietando l’aborto qualora i medici siano in grado di sentire il battito cardiaco del feto, cosa che di solito avviene intorno alla sesta settimana: serve però ricordare che per la scienza non si può, in quel momento, parlare già di “vita”, nonostante i Pro Life si ostinino a definire omicidio l’interruzione di gravidanza a qualsiasi stadio di essa. Eppure definire l’aborto criminale entro i tre mesi dal concepimento è ritenuto sbagliato dalla maggioranza della comunità scientifica (vi lascio un articolo per approfondire).
La Legge della Georgia:
Adottata nel 2019, non era mai stata applicata fino alla sentenza Dobbs contro “Jackson Women's Health Organization” del 2022, che ha cancellato la storica sentenza Roe v. Wade, cioè il verdetto della Corte Suprema che aveva legalizzato il diritto di scelta della donna, aprendo così la strada ai divieti di aborto a livello statale. Attualmente dodici Stati USA stanno applicando divieti totali all’aborto in qualsiasi fase della gravidanza, mentre altri tre, tra cui la Georgia, vietano l’aborto dopo circa sei settimane.
Tornando a noi, cioè a lei…
Mettendo da parte la questione etica — e la forte influenza religiosa — voglio ritornare alle parole di April, per me fondamentali perché personalmente coinvolta (lei, non noi, né i medici né tantomeno i politici): visitando regolarmente la figlia in ospedale aveva definito la situazione “una tortura”, soprattutto non potendo prendere decisioni diverse da quella prevista dalla legge, che non solo avrebbero tutelato la dignità della propria figlia, ridotta a mero strumento procreativo, ma anche evitato che la nipotina potesse avere/sviluppare gravi disabilità, condannandola così a una vita di probabili sofferenze.
Niente da fare, quindi. Chance è venuta al mondo e noi non possiamo che augurarle una splendida vita, piena di salute e di felicità, anche se la sua condizione lascia immaginare delle conseguenze non certo facili da affrontare… Credo però che davanti a una simile forzatura, perché di forzatura si tratta, dobbiamo riflettere e non poco. La vita andrebbe festeggiata sempre, è vero, ma a quali costi? Cosa possiamo davvero accettare in cambio? Perfino lo sfruttamento di una madre morta e la probabile disabilità procurata a sua figlia? È davvero questa una tutela?
Nelle scorse settimane, e anche adesso, sono stato definito “assassino” per aver promosso la Legge Toscana, poi approvata, che ha regolamentato il suicidio medicalmente assistito (diritto già riconosciuto da ben due sentenze della Corte Costituzionale, quindi non creato di sana pianta). Una certa parte di società, in particolare quella fortemente cattolica e conservatrice, ha ritenuto una “forzatura contronatura” l’atto di decidere consapevolmente per sé, fino alla fine, liberandosi da sofferenze atroci: la stessa parte che però adesso non trova ugualmente innaturale tenere in vita in modo artificiale e meccanico una donna solo e soltanto per l’egoismo ideologico del difendere la vita a tutti i costi (vita che, ricordo di nuovo, non può essere scientificamente definita tale entro determinate settimane di gravidanza).
Le sofferenze di Adriana e di Chance non valgono niente?
In questo senso, e solo in questo senso, ritengo che la nascita della piccola non possa rappresentare una vittoria della medicina né tantomeno della politica, bensì un insulto alla dignità di una madre che si è vista spersonalizzata, privata della propria dignità di donna in grado di decidere ufficialmente per sé (a prescindere dal fatto che lei avrebbe preso o meno la stessa decisione).
Per chi ha deciso, Adriana non era una sorella, una figlia, una persona, ma una macchina tra le macchine, un contenitore di ulteriore sofferenza. E questo accade più spesso di quanto possiamo immaginare, è il risultato del processo che ha portato a considerare gli uteri altrui come proprietà del Governo.
Permettetemi la provocazione: ha senso che un cadavere abbia più diritti di una donna in vita? A me tutto questo ha ricordato un incrocio tra “Il racconto dell’ancella” e “Black mirror”, e francamente mi spaventa più di un film horror. Perché non è questo il futuro che sogno per la tutela dei diritti umani (compreso, sì, anche quello alla vita), piuttosto mi concentrerei sulle condizioni delle donne, e non solo in America, perché di questo passo il controllo sui loro corpi sarà sempre peggiore.
* Ho scelto di non pubblicare nessuna foto di Adriana Smith, tantomeno quelle strazianti in ospedale dove è attaccata a decine di tubi mentre il suo primo figlio le piange accanto abbracciandola. Preferisco ricordarla come donna e non come incubatrice.
☕️ Grazie per avermi letto su “KAIROS”! Se l’articolo ti è piaciuto puoi sostenere questo spazio gratuito e indipendente offrendomi un caffè: basta poco, grazie!
Sono argomenti complessi e non conoscevo la storia, ma da quello che hai raccontato mi sento di essere d'accordo con te.
Condivido ogni tua parola, soño d'accordo con te!!!!