La serie sugli 883 mi ha fatto malissimo, per questo l’ho amata
“Hanno ucciso l’uomo ragno” sa di dolce nostalgia per un tempo che ho sfiorato, mista a dolore perché, alla fine, quel tempo non lo avrei comunque vissuto.
Non ho mai avuto una grossa passione per gli “idoli”. Diciamo pure che il concetto stesso di idolo mi sta sulle scatole, ecco, perciò no. Ma se dovessi sceglierne uno, insieme a De André, sarebbe di certo Max Pezzali, ovviamente per motivi intrinsecamente diversi che potete ben immaginare: il fermo immagine costante di brava persona ma non per questo noiosa, la scrittura genuina e vera, la coerente capacita di restare sempre se stesso, quasi fermo agli inizi nello spirito ma con l’esperienza del tempo (e di certo occorre bravura per crescere senza cambiare).
E badate bene, l’ho sempre pensato e l’ho sempre detto, non da ieri. Eppure è sempre rimasto una consapevolezza in disparte, come se fosse la cosa più naturale del mondo avere certe colonne sonore mentre scorre la vita.
Così la serie italiana prodotta da Sky ha solo confermato, tirandolo fuori, tutto ciò che tenevo dentro riguardo gli 883 prima e Pezzali dopo (per apprezzare Repetto, purtroppo, ero ancora troppo piccolo dato che sono venuto al mondo l’anno esatto del loro esordio). E mi ha fatto male, anzi malissimo, perché è stato un viaggio introspettivo che mi ha posto davanti ai miei limiti.
Se potessi scegliere un periodo in cui vivere, riavvolgendo indietro il nastro, sarebbe proprio quello, gli anni d’oro del grande Real, di Happy Days e di Ralph Malph. Gli anni che ho sempre percepito voltandomi indietro ma che non ho mai toccato abbastanza, o comunque con la consapevolezza adulta che avrei voluto: le sale giochi alla “Jolly Blue” in cui chiudersi nei fine settimana, le prime cotte di “Sei un mito” e tutte le attese messe in fila per quell’amore che ti rivolta lo stomaco di “Come mai”, insieme alle mancanze di “Senza averti qui” e “Una canzone d’amore”, le serate improvvisate tra amici di “Rotta per casa di Dio”, ma soprattutto la fiducia nei sogni e nel futuro ancora viva di “Hanno ucciso l’uomo ragno”, così come l’impazienza di esplorare il mondo e le sue avventure in “Torno subito”…
Poi però mi fermo e ci penso meglio (razionalmente, come forse farebbe Max), e mi sale una sensazione di ansia mista a tristezza perché, diciamoci la verità, una persona disabile come me in quei tempi avrebbe potuto fare ben poco di tutto questo. Perciò alla fine mi chiedo: cosa avrei vissuto davvero delle scorribande in due su un motorino, dei telefoni a gettoni dai quali avvisare a casa che va tutto bene, dell’assenza dei cellulari e di come si doveva uscire e suonarsi ai campanelli e dirsi “sono io scendi” e tirare lungo fino a tardi nella propria compagnia?
Tutto decisamente più bello di oggi, mentre viviamo attaccati a uno smartphone che ci detta la nostra agenda e le nostre giornate, con tutto a portata di polpastrello che chissà se un ventenne oggi riuscirebbe ad andare da Pavia a Milano con una cartina geografica in mano. Per questo la serie sugli 883 mi ha fatto male, perché mi ha dato uno schiaffo in faccia così forte da farmi sentire perfino fortunato nel vivere ai giorni nostri, fuori tempo e fuori luogo.
E allora mi resta la serie, con magari un suo rewatch perché scritta benissimo, girata benissimo e interpretata benissimo (escluso soltanto un Cecchetto troppo trash, in my honest opinion): forse perché parla di amicizia e non degli 883, forse perché parla dei sogni di provincia e non degli 883, forse perché parla di fragilità e insicurezze e non degli 883, perché parla con nostalgia di ciò che siamo stati (tutte e tutti, proprio tutte e tutti) e non degli 883. Non solo, insomma. A partire da Cisco, l’amico in disparte ma quello di sempre e per sempre, talmente chiave da esser quasi decisivo per il corso degli eventi.
Parla di visioni e intuizioni, di tentativi, di fallimenti e solo dopo di successi. Parla di gente un po’ sfigata e per questo figa. Com’erano e sono Mauro e Max. Una roba da commuoversi quasi.
Maledetta serie sugli 883, eccome se mi hai fatto male.
“Se tornerai magari poi | noi riconquisteremo tutto | come tanti anni fa | quando per noi | forse la vita era più facile.”
Io ci ho vissuto, Iacopo, in quell'epoca, in provincia, e mi sento fortunata per questo: tanti, tantissimi bei ricordi che le tue parole hanno risvegliato, come se anche tu li avessi vissuti in prima persona. I rapporti umani erano senza ombra di dubbio di un altro livello ma c'é anche un rovescio della medaglia: senza la tecnologia di oggi era impossibile accedere all'universo di informazioni reperibili in rete, per cui alcune mie "scelte di vita" sono state molto meno consapevoli e quasi certamente differenti (prima fra tra tutte la scelta della scuola superiore) rispetto a quello che sarebbero state se fossi nata 40 anni dopo.
Quanti ricordi, quante emozioni mi hai fatto rivivere leggendo il tuo articolo! Tu, sei un mito! Grazie.