Jasmine Paolini e la rappresentazione tossica del suo corpo per i giornali
Quando la lotta per un miglior giornalismo finisce giustificando certe pratiche per rafforzare stereotipi sessisti.
“Bellissima”, con “quelle gambe di caucciù, lascito del nonno materno ghanese”, “Jasmine non è alta come le colleghe Gauff o Zheng, non è muscolosa e non è nemmeno una predestinata”…
Non ci troviamo a un’edizione regionale di Miss Italia, ma tra i titoli e gli articoli scelti dalla Gazzetta dello Sport per parlare della leggenda che è Jasmine Paolini.
Alla tennista è bastato un fine settimana per fare la storia, vincendo sia il singolare che il doppio agli internazionali d’Italia. Prima italiana a vincere due tornei WTA 1000, campionessa olimpica a Parigi 2024 in doppio con Sara Errani e prima medaglia olimpica d’oro nel tennis italiano: tra sabato e domenica Paolini ha scritto il nuovo capitolo del proprio mito, diventando la prima italiana dal 1990 a vincere entrambe le categorie nello stesso anno. È inoltre la prima tennista italiana ad entrare nel top ten ranking sia nel singolare che nel doppio.
Un successo quindi straordinario, ma apparentemente troppo modesto per guadagnarsi le prime pagine dei quotidiani sportivi del lunedì, perlopiù intasate dalla Serie A del calcio maschile. È giusto un angolo quello che TuttoSport dedica alla vittoria di “Jas”, soprannome che ricorda quel “Fede” usato il mese scorso dalla Gazzetta dello Sport per celebrare il triplete della sciatrice che, anche lei, un nome e cognome ce l’ha, ed è Federica Brignoni.
Basta uno sguardo alla copertura mediatica sull’ennesimo trionfo di Paolini per comprendere quelli che sembrano essere i maggiori punti di interesse per le principali firme del giornalismo sportivo italiano: le origini straniere della tennista, le sue relazioni sentimentali, ma soprattutto quell’aspetto esteriore (l’altezza modesta) che nessuno si è tirato indietro dal commentare, vuoi per esaltare un “limite” o per lanciarsi in monologhi lirici e tutt’altro che indispensabili.
Penso a un breve ma incisivo articolo pubblicato sulla Gazzetta alla vigilia delle vittorie e in cui l’autore (un uomo, da firma) ha preferito non risparmiare le ispirazioni poetiche per costruire un ricco dialogo tra la volpe del Piccolo Principe e la tennista, destinataria di una presunta “lezione” sul potenziale di qualsiasi forma fisica se sostenuta da coraggio e determinazione. Come dire: la vittoria è raggiungibile, per quanto l’atleta non sia “né giovanissima, né statuaria, né predestinata”, sempre per riprendere le parole del giornalista.
Immancabile il confronto con Jannik Sinner, quasi un topos letterario negli articoli sportivi circa la storica vittoria del femminile e che risalta anche dal paragone tra le costruzioni delle “origini” dei due tennisti. Se infatti nel lungo articolo dedicato agli esordi del giovane campione si parla praticamente solo di tennis, tra vocazione e aneddoti riguardanti gli allenamenti, nel caso di Paolini le questioni interessanti paiono essere altre: il lavoro “di papà Ugo” e di “mamma Jacqueline”, le estati in Polonia e, immancabile, la questione della corporatura, trattata con gli ennesimi toni ammiccanti e paternalistici nonostante la campionessa abbia dichiarato in più sedi di essere stata discriminata per il proprio fisico.
Non meno scoraggiante è l’intervista svolta l'anno scorso da Fanpage.it a Patrick Mouratoglou, coach che non sembrerebbe aver mai seguito direttamente la tennista ma che non si è tirato indietro nel dire la sua circa “il limite dell’altezza”, seppur con toni concilianti e in qualche modo consolatori.
Il dibattito sulla copertura mediatica di Jasmine Paolini, che non parla del suo successo ma soprattutto “di lei”, si è svolto anche a colpi di titoli di giornale. È il caso di Libero, che dedica un intero articolo alle critiche sviluppate su quella prima pagina della Gazzetta che ho riportato all’inizio, “Bellissima”, intitolandolo con un tono volutamente sarcastico “Pure dire bellissima è sessismo”, e forse in risposta a un articolo di Luce (La Nazione) che, invece, ha voluto sottolineare il doppio standard tra gli epiteti dedicati a Sinner e quelli destinati a Paolini. L’aspetto più preoccupante dell’articolo di Libero potrebbe però non essere l’articolo in sé, ma il fatto che la firma appartenga a una donna, imperterrita nella sua missione di “spegnere i facili entusiasmi delle pennette rosa” a colpi di caratteri, gli stessi con cui riduce la critica al sessismo a “quattro pareri scemi”.
Le considerazioni da fare sarebbero molte, soprattutto in questo mese dei “Media For Fair Play”, la campagna europea promossa a una ridefinizione del modo in cui i media rappresentano lo sport femminile: tra le questioni di cui si occupa il progetto (compreso titoli e appellativi stereotipati, linguaggio di genere, infantilizzazione e vita privata), praticamente tutte possono essere riferite alla narrazione che i media italiani hanno costruito sulle vittorie dello scorso fine settimana.
Se pure non è il caso di rifarci direttamente al punto della sessualizzazione, una constatazione rimane effettiva: il centro della notizia non era quasi mai Paolini, ma il corpo di Paolini. Polemiche e correzioni su come raccontare il fisico della tennista sono inutili di fronte al fatto che del suo mito il corpo era decisamente l’ultima cosa necessaria da raccontare.
Nel coro di voci (praticamente quasi tutte maschili) che hanno preso parte al racconto di Jasmine Paolini mancava una voce: la sua. L’unica che, al bando di sentimentalismi e commiserazioni non richieste, è stata usata per diffondere i dati emersi dalla ricerca commissionata da “Dove” a livello globale, e secondo cui una ragazza su due tra i 13 e i 17 anni abbandona lo sport soprattutto per mancanza di fiducia nel proprio corpo: la campagna “Body Confident Sport” mira infatti a incentivare la sicurezza delle giovani sportive, promuovendo l’autostima legata al proprio corpo e sensibilizzando le Istituzioni sul tema. L’ambasciatrice italiana di questa campagna è proprio Paolini, che parlando delle critiche ricevute negli anni circa la sua fisicità ha commentato: “Alcuni scherzano, ma chi ascolta se lo ricorda per tutta la vita.”
La lotta per un miglior giornalismo finisce quando prendiamo determinate consuetudini per assodate, quando giustifichiamo certe pratiche, quando sminuiamo questioni emergenti e quindi ancora estranee. Alla giornalista che ha voluto ridurre le sporadiche ma lucide considerazioni sulla copertura mediatica di questo fine settimana a “quattro pareri scemi” chiederei se quel “bellissima” è tutto ciò che vorrebbe far sapere di sé dopo aver scritto la storia del tennis.
Fortuna che a raccontarci Jasmine Paolini non siano intervenute solo le voci della Gazzetta, di Libero o de La Nazione, ma anche la più importante di tutte: quella di Jasmine Paolini. In fin dei conti, forse l'unica che vale davvero la pena ascoltare.
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Quando mai riusciremo a sostituire quel "bellissima" semplicemente con "bravissima"?
Ciò che hai scritto ti fa onore.